VIDEO | Il provvedimento di sospensione fino al 2025 era stato introdotto con il Decreto Calabria bis per evitare il tracollo finanziario. La questione di legittimità era stata sollevata dal Tar Calabria. Per la Corte costituzionale la norma danneggia i creditori
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La sospensione delle azioni esecutive nei confronti degli enti del servizio sanitario calabrese disposta per legge fino a dicembre 2025 «è sproporzionata». Così si è espressa la Consulta dichiarando l’illegittimità costituzionale di un articolo inserito nel pacchetto fiscale approvato in Parlamento nel dicembre scorso, con il quale si introducevano modifiche al decreto Calabria bis.
Stop ai pignoramenti
Nello specifico, il legislatore per assicurare liquidità al servizio sanitario calabrese - da anni sottoposto al regime di commissariamento - e per consentire alle aziende sanitarie e ospedaliere di procedere al tempestivo pagamento dei debiti commerciali stabiliva la sospensione fino a dicembre 2025 delle azioni esecutive e dei pignoramenti da parte dei fornitori.
Opacità contabile
La norma era finita al vaglio della Corte Costituzionale per effetto di una ordinanza emessa dal Tar Calabria che aveva sollevato la questione di legittimità dinnanzi ai giudici delle leggi che oggi hanno in parte confermato l’impostazione del Tribunale amministrativo. «Nell’affrontare i gravi problemi dell’organizzazione sanitaria calabrese, in particolare quello dell’opacità contabile che da tempo ne affligge l’esposizione debitoria, le norme manifestano un disegno articolato e coerente, il quale tuttavia, proprio in ordine al trattamento dei creditori muniti di titolo esecutivo, denuncia un vizio di sproporzione».
Crisi della sanità calabrese
«La crisi dell’organizzazione sanitaria della Regione Calabria è di tale eccezionalità da giustificare in linea di principio una specifica misura provvisoria di improcedibilità esecutiva e inefficacia dei pignoramenti, non essendo irragionevole, a fronte di una situazione così straordinaria, che le iniziative individuali dei creditori, pur muniti di titolo esecutivo, si arrestino per un certo lasso di tempo, mentre si svolge il complesso procedimento di circolarizzazione obbligatoria dei crediti e si programmano le operazioni di cassa».
Compressione dei diritti dei creditori
«La discrezionalità del legislatore, nello stabilire una misura del genere, non può tuttavia trascendere in un’eccessiva compressione del diritto di azione dei creditori e in un’ingiustificata alterazione della parità delle parti in fase esecutiva».
Durata troppo lunga
«Per quanto complesse, le operazioni di riscontro devono essere svolte in un lasso di tempo più breve - si legge nel dispositivo - anche mediante un adeguato impiego di risorse umane, materiali e finanziarie, che lo Stato deve garantire alla struttura commissariale. Infatti, oltre a rappresentare un’anomalia rispetto ai precedenti normativi – nei quali la durata della misura di improcedibilità, al netto delle proroghe, è sempre stata di un anno o inferiore all’anno –, il congelamento di tutti i pagamenti per quattro anni può porre il fornitore, specie se non occasionale, in una situazione di grave illiquidità, fino ad esporlo al rischio di esclusione dal mercato».
Incostituzionale
La Corte dichiara, dunque, in parte l’incostituzionalità della norma e rinvia per ogni modifica al Parlamento: «Nell’esercizio della sua discrezionalità, valuterà il legislatore l’introduzione di una misura temporanea di improcedibilità delle esecuzioni e di inefficacia dei pignoramenti, qualora risulti indispensabile in rapporto all’eccezionalità dei presupposti, osservando tuttavia i sopra enunciati limiti, circa la platea dei creditori interessati, l’obiettività delle procedure e la durata della misura, e tenendo altresì conto degli effetti medio tempore prodottisi».