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Un ordigno azionato a distanza. Secondo un piano ben congegnato. La Ford Fiesta nella quale si trovavano Matteo Vinci e suo padre Francesco doveva esplodere proprio lì, in quella stradina in località Cervolaro di Limbadi, dove i mandanti e chi ha pigiato il tasto sapeva che l’utilitaria sarebbe passata. E così è stato, laddove foglia non si muove se i Mancuso non vogliono.
Dovevano morire entrambi
Dovevano morire entrambi, ma il padre è sopravvissuto al figlio. Ferito, con gravi ustioni in tutto il corpo, Francesco ha provato a tirare fuori Matteo dalle fiamme ma era incastrato alle lamiere e non ce l’ha fatta. La dinamica di quanto è successo alle 15.20 è ormai chiara. I carabinieri del Reparto operativo e del Nucleo investigativo di Vibo Valentia con il coordinamento della Procura antimafia di Catanzaro sono a caccia dei responsabili: mandanti ed esecutori.
Il movente
Quanto al movente, tutto – ad iniziare dalle dichiarazioni della famiglia delle vittime – sembra convergere sui conflitti che si trascinano da anni per i confini di un terreno con la famiglia Di Grillo-Mancuso. Domenico Di Grillo, stamani è comparso davanti al giudice per la convalida dopo l’arresto per l’illecita detenzione di un fucile, proprio mentre il medico legale Katiuscia Bisogni eseguiva l’autopsia sul corpo di Matteo Vinci. Di Grillo è sposato con Rosaria Mancuso, sorella dei boss Giuseppe, Diego, Pantaleone l’ingegnere e Salvatore Mancuso. Madre di Sabatino Di Grillo, pezzo da novanta della ‘ndrangheta in Lombardia. Da qui partono e si sviluppano le indagini per dare verità e giustizia ad un’altra vittima innocente delle mafie.