Breakfast, il procuratore aggiunto Lombardo ricostruisce le tappe della latitanza dell’ex parlamentare di Forza Italia e aggiunge: «Matacena è ancora un imprenditore attivo, non doveva rimanere a Dubai ma andare in Libano».
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«Matacena è ancora un imprenditore attivo e non soltanto un soggetto che ha subito una condanna e che ha dismesso le sue attività imprenditoriali. La sua permanenza a Dubai nasce da un inconveniente accaduto per caso ed al quale la moglie, Chiara Rizzo, ha dovuto far fronte». Così il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nel corso della requisitoria del processo “Breakfast”, in corso da questa mattina alle 10 nell’aula bunker di Viale Calabria e che vede imputato l’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, con l’accusa di aver favorito l’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, dopo la condanna in via definitiva della Corte di Cassazione per concorso esterno in associazione mafiosa.
“L’incidente” di Dubai
A giudizio del procuratore, il piano di fuga di Matacena non prevedeva una sosta così lunga a Dubai, ma quella degli Emirati doveva essere una mera tappa. L’obiettivo, infatti, era il Libano. Ed il pm riporta anche delle intercettazioni degli imputati in cui si parla in maniera criptica di uno Stato la cui iniziale era “L” e la cui capitale inizia per “B”. «Non può che essere Beirut, capitale del Libano”». È in questo momento che il procuratore introduce anche il ruolo di alcuni funzionari del Ministero degli Esteri che avrebbero avuto sì un ruolo secondario, ma «che in una conversazione in cui si parla dell’aiuto ad un latitante non va bene che ci siano». Come risolvere, allora, il problema di Dubai? A proporre una soluzione, spiega Lombardo, è Claudio Scajola. Chiara Rizzo non ha contatti a Dubai, non saprebbe come gestire la questione. «Sono rimasto estremamente colpito – aggiunge Lombardo – non tanto dai contenuti, ma dall’insistenza con cui quest’uomo voleva fare qualcosa per aiutare un latitante di mafia. Ma dico è credibile che questo discorso sia stato fatto per aiutare la Rizzo? Mi chiedo: aiutare la Rizzo perché? Nel momento in cui non aveva bisogno di alcun aiuto perché era una persona libera. Certo, con il marito in una condizione complicata, ma che vivevano da 15 anni. Una vicenda metabolizzata sino in fondo, per quelle che potevano essere le conseguenze. Allora mi sono chiesto: com’è possibile che questa persona come Scajola stia parlando in questo modo? E soprattutto voglio sapere di chi sta parlando».
La strada dell’asilo politico
Posto “l’incidente” di Dubai, dunque, il pm apre il capitolo della possibile richiesta di asilo politico in Libano. «Tuttavia – rimarca ancora il procuratore – bisogna dimostrare ad uno Stato estero che c’è una condizione di un condannato per mafia meritevole di attenzione». Chiara Rizzo si pone un problema serio: «Ma siamo sicuri che questa sia una strada facilmente percorribile», ricostruisce il pm facendo riferimento agli interrogativi della moglie di Matacena. «In questo frangente, allo scetticismo della Rizzo, Scajola risponde in maniera piccata: “Si può fare”».
Il vero legame Scajola-Rizzo
Non ha alcun dubbio il pm Lombardo: «Le spiegazioni che ci sono state date nel corso del processo, sicuramente alternative rispetto a quelle del pm, non convincono affatto. A me rimane il dato di una persona sotto tutela (Scajola, ndr) che rinuncia all’accompagnamento previsto dal suo status per portare Chiara Rizzo ad un incontro in un ambiente per lui estraneo. Abbiamo l’esigenza di capire perché Scajola vada così oltre nel sostegno ad un latitante. Il rapporto Matacena-Rizzo-Scajola non è estemporaneo, ma sorge molto tempo prima e spiega l’impegno di uno come Scajola a favore di un latitante». È a questo punto che l’ex ministro, presente in aula, ribatte irritualmente al pm: «Falso!». Ma ovviamente viene subito ripreso dal presidente Natina Pratticò che lo invita a non replicare al pm.
La pedina Speziali
Ricollegato al piano di fuga di Matacena in Libano, c’è il ruolo dell’imprenditore Vincenzo Speziali che ha patteggiato la pena per il medesimo reato per il quale è imputato Scajola. «Non è una confessione – precisa il pubblico ministero – ma ci andiamo molto vicino». A giudizio del pm, Speziali è pedina fondamentale in questa vicenda. Fu proprio lui, nella ricostruzione accusatoria, a muoversi con l’ex presidente del Libano Amin Gemayel per tentare di programmare l’arrivo di Matacena in Libano. «Vincenzo Speziali – sottolinea Lombardo – non è un soggetto qualsiasi e questo Claudio Scajola lo sapeva benissimo, come confermato nelle interlocuzioni con Chiara Rizzo. E sapeva che Speziali aveva stretti rapporti con una delle principali personalità politiche del Libano dalla quale era possibile avere determinate risposte».
La vicenda Dell’Utri
E, come emerso anche nel corso dell’istruttoria, il pm Lombardo ribadisce un dato importantissimo: la vicenda Matacena è collegata a quella di Speziali. «I titoli di reato di Matacena e Dell’Utri presentavano profili se non di sovrapponibilità, certamente di vicinanza percepibile, tanto da dover imporre la verifica di possibili collegamenti fra le due vicende. Soprattutto nel momento in cui, nel tentativo di Speziali di dimostrarsi estraneo alla latitanza di Dell’Utri in Libano, nel corso delle indagini emerge è il contrario. La tesi difensiva che vuole attribuire a Speziali il ruolo notorio di soggetto poco affidabile o di puro chiacchierone su una serie di operazioni è smentito per tabulas da quella che è la sua capacità di relazionarsi con persone di altissimo rilievo». Il riferimento temporale è al 7 febbraio 2014, quando Scajola e Speziali parlano insieme: «Ho fatto una cosa più difficile per Sergio, figurati questa», riferisce Speziali. E ci si accorda di «fare questa cosa» tra febbraio e i primi di marzo. «Alla luce di questa conversazione così come delle altre, come può credersi alla figura di uno Speziali come quella di un soggetto che non ha alcuna credibilità? Faccio fatica a crederlo, anche perché le acquisizioni che si avranno rassegneranno la figura di Speziali come quella di un soggetto estremamente preoccupato dall’accostamento del suo nome a quello di Marcello Dell’Utri.