Hanno sede in eleganti palazzi fra piazza Duomo e piazza Affari. Ma il loro core business è molto più a Sud, nei disastrati sistemi sanitari regionali. Sono le società di factoring milanesi che rastrellano crediti vantati da privati verso le aziende sanitarie di tutta Italia. Ma è in Calabria in particolare che hanno i loro migliori clienti. Come disse l’allora commissario al Piano di Rientro, Massimo Scura, in un suo intervento all’Unione Industriali di Catanzaro «L’Asp di Reggio Calabria è la migliore banca in circolazione. Garantisce il 9% di rendimento annuo sui crediti dei privati». Le stesse parole vennero riprese, poi dal Presidente della Corte dei Conti regionale, all’apertura dell’anno giudiziario 2016. Questo per dire quanto sia datato il problema.

Su questo vorticoso giro di crediti adesso sta indagando la Procura di Milano che da giorni sta acquisendo una serie di documenti nelle Asp di Cosenza e Reggio, dove l’ammontare di queste operazioni arriva a centinaia di milioni di euro. Con fatture pagate anche due volte (al privato e alla società di factoring) e anche per importi non dovuti. Non si tratta certamente di una novità. Già Massimo Scura ne parlava nel suo libro “Calabria malata, sanità l’altra ‘ndrangheta” (Pellegrini, 2019), ne ha parlato anche Carlo Guccione nel suo volume “Amara verità” (Pellegrini, 2022).

Sulla vicenda c’è stata una inchiesta della Procura della Repubblica di Cosenza denominata “Sistema Cosenza” ora diventata un processo in cui i dubbi su bilanci e contenziosi sono i veri protagonisti. La differenza con l’inchiesta di Milano è che la Procura meneghina ha dato mandato alla Guardia di Finanza di effettuare controlli non solo in Calabria, ma anche in Campania, Molise e altre regioni italiane.

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Il meccanismo funziona più o meno così. Il privato che vanta un credito verso un’azienda sanitaria manda vari solleciti di pagamento. Di fronte all’inerzia degli uffici agisce per vie legali, fino a quando, in possesso di un titolo esecutivo, si presenta dal tesoriere dell’Asp che paga la somma indicata. Spesso l’importo non veniva diviso nelle singole fatture interessate, che quindi non potevano essere riscontrate in contabilità. Vi è da aggiungere che spesso nelle cause, per carenza di organico negli uffici legali, le Asp non si presentano o mandano personale non qualificato a rappresentarle in giudizio.

Dall’altro lato abbiamo le Spv (Special purpose vehicles), società che si accollano il rischio di recuperare il credito a fronte di un prezzo d’acquisto vantaggioso. Sono gli stessi privati a cederlo, magari mentre intentano la causa. I crediti diventano titoli, bond da cedere agli investitori. Il problema poi è ricostruire il rapporto fra prestazioni erogate e fatture di cui spesso non c’è traccia nella disastrata contabilità delle nostre aziende sanitarie. Da qui la possibilità di incassare due volte la fattura: prima da parte del privato e poi dalla società che acquisisce il credito. Naturalmente sia i privati titolari originari del credito, sia le società che acquistano nei giudizi aggiungono gli interessi legali e di mora che maggiorano, e di molto, gli importi iniziali.

Tutte queste operazioni hanno un ammontare ancora non definito. Stiamo parlando, però, come detto di centinaia di milioni di euro che potrebbero creare un buco mostruoso nel nostro bilancio sanitario, nonostante gli sforzi dell’attuale commissario Roberto Occhiuto di mettere ordine nei conti. Sì, perché il tempo gioca a sfavore della nostra sanità con gli interessi sul dovuto che galoppano mese dopo mese. Bisogna considerare che ci sono società che hanno in mano da sole titoli per decine di milioni di euro.

Le società di factoring si sono sempre difese sottolineando come l’acquisto viene comunicato tramite Pec alle aziende interessate e con pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Non solo, ma spesso i crediti vengono definiti in seguito a legittime azioni giudiziarie in cui è un giudice terzo a stabilire importi dovuti. Per queste società, quindi, se truffa c’è stata è da imputare a chi ha venduto i crediti.

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Naturalmente l’inchiesta giudiziaria mira a verificare proprio questo e il confine fra colpa e dolo da parte delle aziende ovvero fin quando queste situazioni siano dovute a negligenza degli uffici delle aziende sanitarie o ad altro.

Il problema è che l’andazzo sembra continuare. Pochi giorni fa abbiamo scritto dell’incredibile transazione effettuata dall’Asp di Cosenza con una società di factoring milanese. La delibera è la n°2807 del 21 dicembre 2023 e ha per oggetto una transazione con la Banca Farma Factoring Spa. A fronte di un credito di circa 90 milioni vantato dalla società milanese, si è stabilita una transazione di 39 milioni. Ma chi ha stabilito e verificato il credito? Questo appare incerto perché la delibera viene proposta direttamente dalla direzione generale, sentito il direttore sanitario e quello amministrativo.

In delibera non si trova alcun riferimento a pareri dell’ufficio legale o di quello contabilità. La stessa struttura proponente non sembra così sicura che tutti quei crediti fossero realmente dovuti, al punto che nella delibera c’è un inciso davvero particolare. Vi si precisa infatti che «eventuali somme corrisposte in relazione a suddetto accordo transattivo e non risultanti dovute, a qualsiasi titolo, saranno oggetto di restituzione». Ma il controllo non doveva avvenire a monte della transazione? Che interesse dovrebbe avere la società finanziaria a verificare a posteriori se effettivamente quei soldi gli spettavano o meno? Perché prima della transazione non è stato chiesto il parere dell’ufficio legale o un riscontro a quello contabilità?

Misteri della sanità calabrese dove la contabilità “orale” ha fatto davvero la fortuna di tanti.