VIDEO | Parla Clara Stella Vicari Aversa che si è opposta alla presunta gestione pilotata delle selezioni per gli incarichi interni alle facoltà: «Non mi pento di niente, lo rifarei» (ASCOLTA L'AUDIO)
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«Questa non è l’università, no io non credo che sia tutta così, in questi casi ci siano delle persone che non hanno rappresentato l’università. L’ateneo di Reggio ha formato me e io sono fiera di questo ma non è quella l’università, la mia università. Passa troppo spesso il messaggio che il sud è così ma Calabria e Sicilia sono terre meravigliose, c’è gente straordinaria e stiamo facendo vedere quanto straordinari siamo, non dobbiamo far vedere solo nefandezze. Per questo dico: mettiamoci tutti insieme e interveniamo facciamo qualcosa, non giriamoci dall’altra parte di fronte alle ingiustizie».
Lei è Clara Stella Vicari Aversa una donna che da sola ha trovato il coraggio di scoperchiare il presunto sistema che ha inquinato l’università mediterranea di Reggio Calabria. Si commuove e non trattiene le lacrime quando parla di quell’istituzione in cui crede ancora oggi con fermezza e mostra tutta quell’umanità che l’ha portata a non arrendersi. Ma quel ruolo di ricercatore e quel concorso fatto senza i criteri di trasparenza legalità e giustizia hanno fatto scattare in Maria Clara quella volontà di dire basta a un sistema che negli anni ha messo da parte la meritocrazia privilegiando una selezione clientelare.
«C’erano troppe irregolarità per girarmi dall’altro lato. Siamo andati oltre ogni soglia di tollerabilità. Leggendo gli atti si può verificare, oltre ai profili di rilevanza penale che sono comunque in corso di accertamento, come quel quadro è imbarazzante. Il punto è che forse la giustizia amministrativa alla quale mi ero rivolta inizialmente ha accertato i fatti in modo definitivo, ma non è stata sufficiente. Lo rifarei, denuncerei nuovamente perché è una selezione per titoli ed esami e deve essere fatta con criteri di correttezza, andrei contro la mia natura dicendo che non lo rifarei, non riesco a girarmi dall’altra parte e non riesco a rassegnarmi, appunto, che l’università debba essere questo».
Dalle carte dell’inchiesta Magnifica che vede indagati anche il rettore Zimbone e il prorettore Catanoso emerge uno spaccato disarmante soprattutto nei modi e nel linguaggio utilizzato per appellarsi a chi osava mettersi di traverso. «Questa forma di maschilismo nella quale comunque la donna deve occuparsi della cucina, unita all’idea che non ne avessi bisogno di lavorare è come del sale che si va lanciando sulle ferite aperte».
Ma quella sete di giustizia che ha spinto la donna a sfidare un sistema ben radicato non è ancora stato appagato del tutto. «Le decisioni del Consiglio di Stato mi hanno dato ragione però adesso non vorrei che questa si trasformasse in una meteora. Quindi è chiaro che non ci siamo ancora arrivati a qualcosa di definitivo. Anche perché questa università continua a negare che abbia agito male finora. La cosa che mi ha fatto molto male in questi 14 anni e che è passato sempre il messaggio che fossi io quella sbagliata, che io non vinco perché non me lo merito e non è così».
Ma quell’atteggiamento che le carte fanno emergere non fatto arretrare la professionista che se anche oggi si trova all’estero porta la sua terra con se nell’attesa di rientrare. «Io non ho avuto paura e il coraggio che non avevo l’ho trovato dentro di me e spero di non dover iniziare ad avere paura adesso. Ho avuto molti attestati di solidarietà e a chi mi ha detto di aver subito le stesse cose ho detto di denunciare perché insieme possiamo cambiare le cose. Sono stati usati, come emerge dalle carte, atteggiamenti intimidatori ma comunque io non mi faccio spaventare e spero che non si faccia spaventare nessuno. Io non me ne sono mai andata, sono fuori adesso ma viaggio, sono come Ulisse con Itaca. Torno sempre a casa e la mia casa è lo Stretto di Messina. Ci sono momenti in cui il limite sembra che venga superato e questo è uno di quei momenti».
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