Il presidente Caterina Asciutto esalta il metodo investigativo del magistrato, ne ricorda le parole più significative e ammette: «Il rischio di cadere in ricostruzioni epiche è elevato»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«Quando parliamo di Giovanni Falcone, il rischio di cadere in ricostruzioni epiche sulla sua figura è abbastanza elevato. Lui continua a vivere tra noi grazie ai risultati della sua opera. L’impronta che ha lasciato non si cancella, si trasmette e rinasce». Così si esprime il giudice Caterina Asciutto, presidente della Giunta esecutiva sezionale dell’Associazione nazionale magistrati di Reggio Calabria, nel corso dell’evento organizzato dall’Anm per il 31esimo anniversario della strage di Capaci.
Falcone «era un essere umano, come tutti noi, impegnato a svolgere correttamente il suo lavoro, quello di magistrato. Lo svolse talmente bene da inimicarsi molte persone, alcune delle quali provenienti dalle file stesse dello Stato».
Una visione globale della mafia
Secondo il presidente Asciutto, «Giovanni Falcone va ricordato perché, grazie alla sua sapiente attività investigativa e al suo metodo riuscì a portare i vertici di Cosa Nostra in tribunale, ed a ottenere pesanti condanne nei loro confronti, cosa mai accaduta prima. Già all’inizio degli anni’ 70, vi erano stato importanti processi per mafia portati avanti dal giudice Terranova (pure lui ucciso da Cosa Nostra il 25 settembre 1979). Essi, però, si concludevano con assoluzioni per insufficienze di prove o lievi pene. In quegli anni – nonostante l’impegno profuso da magistrati come Terranova – mancava ancora una visione globale del fenomeno mafioso». Falcone, insomma, «non fu folgorato all’improvviso sulla via di Damasco: si immerse nel lavoro, e di esso ne fece una missione professionale. Ascoltava, osservava, indagava e verificava, e poiché lo faceva con scrupolo ed era dotato di un’intelligenza analitica fuori dal comune, sempre attenta ai dettagli e alle connessioni, ogni giorno faceva un passo in avanti. Giovanni Falcone non si è mai sentito un eroe, ma solo un uomo dello Stato chiamato a fare il proprio dovere. Contro il mito negativo dell’invincibilità di Cosa nostra diceva: “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà una fine”».
Il metodo Falcone
La presidente Asciutto esalta il metodo investigativo di Falcone, «diventato modello nel mondo». Una rigorosa «ricerca della prova, indagini patrimoniali e bancarie, ostinata caccia alle tracce lasciate dal denaro e lavoro di squadra sono stati i suoi fari, le armi con le quali, insieme al pool antimafia, ha istruito il primo maxiprocesso a Cosa nostra, il suo capolavoro».
Con questa disciplina, «giunse a forgiare un metodo investigativo rigoroso perché fattuale, lontano mille miglia dalle suggestioni di teoremi, nutrito in partenza di un modo di lavorare collegiale, paziente e prudente. Un’attitudine a connettere indagini sino ad allora spezzettate, giungendo alla convergenza del molteplice».
La mafia come Stato parallelo
Falcone, prosegue il giudice Asciutto, «definiva la mafia non come un antistato ma uno stato parallelo: lo Stato-mafia che non è solo mafia e non è solo Stato. “Un’organizzazione parallela che vuole approfittare delle storture dello sviluppo economico, agendo nell’illegalità… la mafia si alimenta dello Stato e adatta il proprio comportamento al suo…. E quanto più lo Stato si disinteresserà della mafia e le istituzioni faranno marcia indietro, tanto più aumenterà il potere dell’organizzazione”.
La mafia, insomma, è una «patologia del potere; sa adattarsi, trasformarsi, mimetizzarsi, imparando a sfruttare le nuove opportunità criminali offerte per esempio dalla globalizzazione dei mercati finanziari e dalle innovazioni tecnologiche».
Cosa significa ricordare Falcone?
Ricordare oggi il giudice Falcone, per la presidente Asciutto, vuol dire «mantenere vivo il suo esempio, il suo senso del dovere, elevato a senso dello Stato; ribadire che “Chi ha coraggio muore una volta sola, chi ha paura di morire muore tutti i giorni; capire cosa è il coraggio: “L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza”.
Falcone – conclude la presidente Asciutto – continua a vivere tra noi grazie ai risultati della sua opera, per quel che ha fatto, detto, scritto; l’impronta che ha lasciato non si cancella, si trasmette e rinasce».