L'ex presidente della Regione commenta la sentenza: «Una decisione chiara e netta dopo due anni di gogna mediatica. Ora serve una riflessione approfondita»
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«È una sentenza netta, chiara. La giustizia finalmente è arrivata, in ritardo ma è arrivata. Sono stati due anni di gogna mediatica, nei miei confronti». Queste le parole dell'ex presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, dopo l'assoluzione decisa dal Gup di Catanzaro nell'ambito del processo, con rito abbreviato, Lande desolate che lo vedeva indagato per corruzione e abuso d'ufficio.
«Ho speso la mia vita e il mio impegno politico e istituzionale - scrive Oliverio - avendo sempre come bussola la legalità, la correttezza amministrativa, il rispetto dei diritti e delle persone. Ho sempre combattuto in prima fila per il riscatto della mia terra e per la liberazione di essa da tutte le mafie e cricche affaristiche. Una mattina di dicembre del 2018 è come se il mondo si fosse capovolto. Nella mia funzione di massimo responsabile del Governo della Regione venivo sottoposto ad un provvedimento cautelare. Un atto grave - continua - non solo per la mia immagine, ma soprattutto per l’immagine della Calabria finita nel tritacarne mediatico e nella macchina del fango. Il solo pensiero che i calabresi, a partire da quelli che avevano riposto in me fiducia, potessero essere indotti a credere che il loro presidente avesse tradito la loro fiducia e approfittato del ruolo che gli avevano conferito sono stati la più grave ferita e il più grande e insopportabile tormento della mia vita. Sono felice per i miei figli, per i miei cari, ma anche per i calabresi».
«Ora che si è affermata la verità e che la giustizia, attesa da me in rispettoso silenzio, si è imposta, è necessaria una riflessione approfondita. Non posso non ringraziare quanti mi sono stati vicino in questa fase difficile, ma soprattutto ringrazio i miei avvocati difensori Enzo Belvedere ed Armando Veneto che sin dall’inizio - scrive - hanno saputo impostare una linea difensiva argomentata e forte non solo della verità quanto della lettura giusta delle carte processuali. Esse tutte sin dall’inizio mostravano la mia totale estraneità agli addebiti mossimi con "grave pregiudizio accusatorio"».