«Sono stata abbandonata dall’ospedale e dai sanitari, mi è stato detto che non ero di loro competenza. Quanto accadutomi è assurdo». Ha la voce provata la donna di 67 anni che pochi giorni fa in ospedale a Lamezia entrando in l’ascensore è rovinosamente caduta sul pavimento di quest'ultimo, scostato dal piano di un bel po’ di centimetri. Un bacino rotto e trenta giorni a letto per permettere alla frattura di calcificare, due badanti per aiutarla: questo il bilancio. «Si ripara e si sistema quel che si può riparare ma non certe ferite», ci dice.

«Di certo nei miei confronti c’è stata omissione di soccorso», afferma L.G. che, tramite il suo legale Rosario Perri, ha presentato una diffida e una messa in mora per il risarcimento dei danni all'Asp di Catanzaro.

La donna si era recata in ospedale per accompagnare il marito ad effettuare una visita. Quando è giunto il momento di andare via e di prendere l’ascensore questo risultava già al piano, ma quando le porte automatiche si sono aperte, il dislivello ha causato la rovinosa caduta. La donna in preda a dolori lancinanti e impossibilitata ad alzarsi, quando ha visto un’infermiera del reparto adiacente arrivare si è rasserenata, ma questa le avrebbe detto che non era sua competenza intervenire lasciandola lì dove era.

Un’altra infermiera di passaggio le avrebbe poi consigliato di chiamare il 118 ma il centralino, rammaricato, avrebbe fatto presente di non avere personale e mezzi per andare a prenderla e portarla in Pronto Soccorso. Il tutto all’interno dello stesso presidio, il Giovanni Paolo II. È il 118 a suggerirle di chiamare aiuto all’esterno e così L.G. chiama un amico che recupera una sedie a rotelle di fortuna e riesce a portala in Pronto Soccorso dove le viene diagnosticata la frattura.

E all’ascensore cosa è accaduto? Una spranga di ferro e un raccoglitore per la raccolta differenziata sono stati posti davanti all’accesso ad indicare il “pericolo”. Il direttore sanitario si è scusato per quanto accaduto facendo presente però di essere assente per malattia. La donna si è rivolta al Tribunale per i Diritti del Malato e con un suo legale non vuole far cadere la cosa. Lasciarla «all’interno di un ascensore dolorante e urlante, non intervenire, fare scaricabarile ecc, è umiliante - ci ricorda -. E meno male che da questa pandemia “dovevamo uscirne migliori”».