Sette anni fa la mattina del 31 ottobre, all’alba del giorno del suo compleanno, veniva ritrovato in un uliveto il corpo martoriato e senza un alito di vita di Adele Bruno.


Bella, bellissima Adele, di quella bellezza naturale, non filtrata dal trucco. Trasparivano immediatamente la sua ingenuità e la sua purezza. E forse proprio questo doveva avere attirato Daniele, il suo fidanzato fino a pochi giorni prima.


Imbianchino, all’epoca disoccupato, Daniele aveva alle spalle un matrimonio fallito e un bambino da tirare su. La fine della relazione con Adele lo tormentava e per questo cercava di non recidere definitivamente quel filo che li legava con ogni scusa.


Come quel giorno, quando si propose di accompagnare Adele al centro commerciale a ritirare quel cellulare che proprio lui le aveva regalato e che era in riparazione. Adele aveva accettato convinta di rientrare a casa subito. Ecco perché non aveva portato con sé né la borsa né il telefonino. La sera avrebbe dovuto festeggiare i diciotto anni di una cugina, aveva già preparato il vestito nero con la fascia arancione che avrebbe indossato, così come tutti gli accessori.


Ma Adele a casa non farà più ritorno.
Le telecamere di videosorveglianza inquadrano i due entrare ed uscire dal centro commerciale, deve essere stato dopo che qualcosa nella testa di Daniele è esploso. Probabilmente una discussione, il rifiuto della ragazza di riaprire la relazione.


Secondo quanto raccontato dal killer reo confesso si sarebbero fermati località Montesanti, nella periferia di Lamezia, in un uliveto, accanto ad un casolare diroccato, per parlare. È lì che le cose sarebbero degenerate, ci sarebbe stata prima una colluttazione in macchina, poi il tentativo di Adele di fuggire. Un tentativo vano, Daniele in poco le è addosso, la colpisce più volte, si accanisce sul viso, poi la lascia agonizzante sotto un albero ed inizia la messa in scena.


Daniele arriverà dai genitori di Adele dicendo di non riuscire a trovarla, parteciperà alle ricerche, andrà perfino in commissariato.
Ma qualcosa da subito inizia a traballare. Il ragazzo dirà di averla lasciata da un’amica perché temeva fosse incinta e voleva fare un test di gravidanza, ma, stranamente, non ricorda dove l’amica abiti. Con l’arrivo del buio pesto, i rimorsi e il crollo. Alle quattro del mattino Daniele va a confessarsi da uno zio sacerdote che lo accompagnerà a costituirsi.


Viene scelto il rito abbreviato.
Gli avvocati di lui presentano perizie per dimostrare che Daniele abbia un’anomalia genetica che lo abbia reso al momento dell’omicidio incapace di intendere e di volere. Ai processi fuori lo attende una folla inferocita che grida giustizia per Adele. La condanna a trent’anni per i parenti di Adele rimane poca cosa: «Non serviranno a restituirci la nostra Adele, lui continuerà a vivere, dormire, mangiare, respirare, a vedere nelle ore di visite i suoi cari. Noi Adele l’abbiamo persa per sempre».