Il Tribunale del Riesame di Catanzaro dovrà nuovamente pronunciarsi sul sequestro di beni effettuato dalla Procura della Repubblica di Lamezia Terme, guidata da Salvatore Curcio, nei confronti dell'imprenditore Alberto Statti accusato di estorsione continuata in danno di suoi dipendenti. Lo ha deciso la seconda sezione penale della Corte di Cassazione cui si era rivolta la Procura lametina dopo che il Tribunale catanzarese aveva disposto il dissequestro dei beni dell'imprenditore.


La Suprema corte, accogliendo il ricorso della Procura, ha annullato l'ordinanza emessa dal Tdl e ha rinviato gli atti per una nuova decisione. La stessa Corte ha invece ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla Procura sulla misura interdittiva della sospensione dall'attività d'impresa, concessa dal gip e poi annullata sempre dal Tribunale della libertà catanzarese.

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L’inchiesta “Spartaco”

Il sequestro nei confronti di Statti venne effettuato dalla Guardia di finanza il 3 luglio scorso nell'ambito dell'inchiesta "Spartaco". Secondo l'ipotesi dell'accusa l'imprenditore avrebbe costretto sistematicamente i propri dipendenti ad accettare retribuzioni minori (ridotte di circa un terzo) di quelle formalmente risultanti in busta paga oppure non corrispondenti a quelle previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro ed a rinunciare, di fatto, alle somme di tfr previste, con la minaccia dell'immediato licenziamento o, prima dell'instaurazione del rapporto lavorativo, con l'esplicito rigetto della richiesta di assunzione avanzata da coloro che aspiravano all'impiego secondo le regole.


Gli inquirenti quantificarono il profitto delle presunte estorsioni nei confronti di 23 dipendenti in 290 mila euro,l'equivalente della somma sequestrata dalle fiamme gialle. (ANSA)