«Sono passati trenta anni ma è come se fosse successo ieri, un incubo». 1991-2021. Anno dopo anno il 24 maggio Lamezia e la Calabria ricordano quella tragica alba, quando nelle vie del quartiere Miraglia di Sambiase, risuonarono i colpi di kalashnikov scaricati su due netturbini, due operatori ecologici intenti a fare il loro lavoro. Per quel bagno di sangue in cui si spensero per sempre le vite di Francesco Cristiano e Pasquale Tramonte, nessuno ha mai pagato. Tra storie giudiziarie farraginose, testimonianze ritirate e decessi in corsa, la giustizia non ha mai assicurato dietro le sbarre né i mandanti né gli esecutori della strage.

Onesti, buoni e indefessi, la lettura storica vuole che Francesco e Pasquale siano stati scelti a caso affinché il loro sangue divenisse la traccia tangibile della forza con la quale la ‘ndrangheta stava cercando di entrare nel settore della gestione comunale dei rifiuti. Di lì a poco sarebbe stata sciolta per infiltrazioni mafiose l’amministrazione lametina: il primo di quelli che poi sarebbero diventati in 30 anni ben tre scioglimenti.

L'appello ai pentiti

E il silenzio può diventare veramente assordante, fare più rumore del clamore. Stefania, figlia di Francesco, era una bambina quando si ritrovò addosso parole come un padre che non sarebbe tornato più a casa, un omicidio, la ‘ndrangheta. Ma al silenzio che negli anni è cresciuto e si è fatto sempre più muro, questa piccola, grande donna non si è mai adeguata, continuando a mantenere l’alta l’attenzione sul caso: «Questo silenzio ci spaventa moltissimo, ma dobbiamo fare di tutto perché si faccia un po' di luce su questa vicenda che non può essere insabbiata, perché è stata insabbiata tantissimi anni fa. Dopo trenta anni credo sia giusto che si faccia verità. Mi rivolgo direttamente ai pentiti e a chiunque sappia affinché ci faccia sapere qualcosa».

Il primo scioglimento per infiltrazioni mafiose

Stefania torna poi indietro con i ricordi a quel 1991 che vide coincidere la strage al primo scioglimento comunale di Lamezia: «C'erano delle forte ombre e ora di diradarle». Vittime scelte a caso per impartire un segnale preciso a chi doveva affidare la gestione dei rifiuti sarebbero stati Francesco e Pasquale, tanto che vengono più volte definiti agnelli sacrificali: «È l'espressione migliore per ricordarli – ci dice Stefania - ma fa male perché l'agnello sappiamo la fine che fa ed è triste vederla sul proprio padre e il proprio fratello».

Anche questa mattina come ogni anno si è tenuta una breve messa in ricordo delle due vittime ed è stata deposta una corona di alloro alla lapide che li commemora proprio nei pressi dell’omicidio. La sera precedente, invece, su iniziativa dell’ex consigliere comunale Giancarlo Nicotera sono state deposte trenta candele a voler chiedere simbolicamente luce sulla strage.

Il deputato Cinque Stelle Pino D’Ippolito è, invece, intervenuto a mezzo stampa per ricordare di avere interessato della vicenda la presidenza della bicamerale Antimafia: «La commissione ha il potere e il dovere di entrare nella vicenda, rispetto alla quale permane un diffuso, pesante e inaccettabile silenzio. I tempi sono maturi perché la magistratura guardi dentro di sé, affinché la verità e la giustizia vincano su omissioni e opacità inaccettabili, che feriscono la comunità locale e la coscienza pubblica». «Continuerò ad insistere – conclude il deputato del Movimento 5 Stelle – perché si faccia piena luce sul caso. Mi auguro che la commissione Antimafia voglia intervenire con coraggio e senza ulteriori rinvii».