«Ti rivedo, come in un lontano sogno pieno di rimpianto, pieno di rammarico, cara città di Reggio, cara città della Fata Morgana, tutta circondata dal verde lucido dei tuoi aranceti, tutta profumata dall’inebriante odore delle tue zagare». Così la prima donna italiana fondatrice e direttrice di un giornale, Il Mattino, Matilde Serao già rimpiangeva la città calabrese dello Stretto devastata dal terremoto del 28 dicembre 1908. Solo macerie dopo quell'alba passata drammaticamente alla storia come quella della catastrofe naturale europea per numero di vittime e italiana per dimensioni più grave mai registrata a memoria d'uomo e paragonata alla devastante eruzione del Vesuvio del 79 d.C. narrata da Plinio il Giovane.

La scossa infernale

Di intensità pari a 7,20 gradi della scala Richter (XI Mercalli), la scossa, con epicentro nel reggino tra Archi e Ortì Inferiore, generò un devastante sisma, noto come il terremoto di Messina, per le perdite nettamente più numerose che la città subì e il crollo del 90% dei suoi edifici, (case, scuole, chiese, caserme, ospedali); un sisma che colpì con potenza distruttiva, ma con intensità diversa, le due città, in gran parte già rovinosamente segnate il sisma del 1783.


Trentasette lunghissimi secondi alle ore 5:20:27 di quel 28 dicembre 1908 stravolsero drammaticamente la vita della comunità calabrese e siciliana dello Stretto. La terra tremò violentemente e lo Stretto si sollevò, causando altre perdite e danni pure nell'entroterra di entrambe le città. L’alba di un inferno. Pochi attimi per distruggere il litorale calabro e quello siciliano. Migliaia di morti e di case distrutte. Un sisma violento, causa di un disastroso maremoto. Crolli e devastazioni più gravi interessarono un'area di oltre 6000 Kmq.
Nel reggino la terra tremò dalla costa all'entroterra, da Palmi a Melito Porto Salvo ed il mare investì la costa da Punta Pezzo fino a Capo D’Armi. La gravità dell'accaduto non ebbe un'eco immediata e i soccorsi si fecero attendere.

Terremoto Reggio-Messina, i soccorsi e i ritardi

I primi soccorsi effettivi furono quelli stranieri. Nelle rade entrarono le navi russe, tra cui l’incrociatore Aurora - la cui bandiera è stata ammainata nel 2012 per divenire oggi un museo - ai cui marinai sono dedicate due steli poste sulla via Giuseppe Garibaldi a Messina e presso la villa comunale Umberto I a Reggio Calabria. Poi arrivarono anche le navi britanniche. I soccorsi italiani, disposti in occasione della riunione del Consiglio dei Ministri, guidato da Giovanni Giolitti, furono tardivi. Un fatto che non passò inosservato e che destò anche polemiche. Ombre, inoltre, si consolidano con il passare del tempo circa l'inerzia del governo Italiano non solo nei soccorsi ma anche nella difesa della popolazione stremata da azioni di sciacallaggio, ruberie e saccheggi. A commetterle non sarebbero stati certamente gli inglesi o i russi, che davvero e subito soccorsero e che sono ancora oggi giustamente ricordati con profonda gratitudine tanto dai messinesi quanto dai reggini.

Solidarietà e umanità che superarono il confine di un'Italia sulla carta unita da neppure cinquant'anni ed ancora una monarchia, guidata da re Vittorio Emanuele III di Savoia e dalla regina Elena di Montenegro. Non solo russi e inglesi ma, tra gli altri, anche svizzeri e norvegesi furono molto vicini alla popolazione sfollata con la costruzione baracche e l'invio di moduli abitativi collocati lungo le vie che oggi portano ancora il nome di via Villini Svizzeri e via Villini Norvegesi.

La memoria dei documenti

Autorevoli tracce vi sono delle ore convulse che seguirono il sisma, le azioni concitate in mezzo alle macerie, il dramma intriso di speranza e di attesa della ricostruzione. La documentazione tratta dal Fondo prefettizio è oggi custodita presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, nella sezione V (ripartita in 219 buste) curata da Maria Pia Mazzitelli, Umberto Alessi, Consolata Amante, Stella Bellantone, Luigia Amante. Un fondo che racconta attraverso le carte: attestazioni ufficiali dei primi interventi statali di assistenza e ripristino delle opere pubbliche primarie e dell’allestimento, ad opera del personale del Genio Civile, di padiglioni e baraccamenti per postazioni di primo soccorso e per le migliaia di sfollati, la proclamazione dello stato di Assedio, i progetti di restauro e piantine della città, la creazione di ospedali e censimento degli edifici da ricostruire, le assegnazioni e le revoche delle baracche, l’erogazione di sussidi, la richiesta di soccorsi, le comunicazioni dei vari comuni della Provincia al Prefetto, gli atti dell'apposita commissione di studio delle norme di edilizia antisismica e di accertamenti sismologici per individuare i terreni su cui edificare nuovamente.

C’è traccia presso l’Archivio, dunque, dei primi passi verso una ricostruzione, lenta e scandita da polemiche, reclami e ricorsi presentati dai privati che accusavano le autorità di discriminazioni nella distribuzione dei sussidi e nell’assegnazione delle baracche. L’Intendenza Borbonica e la Prefettura rappresentarono le maggiori fonti di produzione di documentazione unitamente alle sottoprefetture di Gerace e Palmi.

Il terremoto del 1908 e la scia di devastazione

Quel sisma, che ha anche ispirato la penna dello scrittore calabrese Mimmo Gangemi, autore del testo teatrale “Terremoto, 37 secondi", segnò, dunque, uno spartiacque nella storia del nostro Paese e non solo. Da allora crebbe significativamente la consapevolezza della necessità di ridurre gli effetti degli eventi sismici. Di quel frangente fu l’introduzione della classificazione sismica del territorio e l’applicazione di specifiche norme per le costruzioni nei territori classificati. Nel 1909, fu emanato, infatti, il primo provvedimento in materia contenente norme valide per l’intero territorio nazionale.

Si trattava del Regio Decreto n. 193 del 18 Aprile 1909 (G.U. n. 95 del 22 Aprile 1909) recante le “Norme tecniche ed igieniche obbligatorie per le riparazioni ricostruzioni e nuove costruzioni degli edifici pubblici e privati nei luoghi colpiti dal terremoto del 28 dicembre 1908 e da altri precedenti elencati". Il tutto in assenza dell'odierna Protezione Civile, i cui prodromi risalgono al 1925.


Ancora una volta, seppure nella tenebra dello strazio e all'ombra di gravi inerzie e discriminazioni, la Storia dell'Italia e della solidarietà tra le Nazioni fu scritta anche al Sud.