«Le feste di Natale erano una tristezza, quelle di Pasqua anche… Se io non sono malato di mente perché mi hanno tenuto trenta anni lì dentro?». Si sfogava così con la nostra testata Pino Astuto, oggi 61 anni, dei quali 32 trascorsi nelle mura dell’allora manicomio di Girifalco, nel Catanzarese. Raccontava così quelle che per lui erano le feste, giorni distanti dal calore e dai colori, giorni freddi e grigi. 

Una storia degna di un film quella che racchiude la sua vita, ma una pellicola drammatica della quale si è occupata di recente anche la trasmissione “Le Iene”. Perché Pino in quel manicomio ci è finito da bambino, senza avere nessuna patologia ma solo perché, come attestano i documenti dell’ospedale, era stato abbandonato e quindi accolto per “ragioni umanitarie”.

Aveva solo nove anni Pino. Del prima non ricorda praticamente nulla, se non parlassero le carte non riuscirebbe nemmeno a dire con certezza quando è entrato nella struttura. Quello che, al contrario, ricorda bene sono gli anni che trascorrevano, i giorni tutti uguali, la mancanza di istruzione, il contatto con persone con malattie psichiatriche gravi.

Il suo è un caso giudiziario unico in Italia che ha affrontato l’avvocato Serenella Galeno dopo che tanti avevano preferito non occuparsene.

Cinquanta mila euro la somma che l’Azienda sanitaria Provinciale è stata condannata a dare a Pino. Una somma calcolata solo fino alla maggiore età, come se a 18 anni avesse potuto andare via ma non lo avesse fatto.

Eppure quando nel 1999 Pino finalmente lascia quelle mura l’ospedale firma le sue “dimissioni”, autorizzandone quindi l’uscita, cosa che avrebbe potuto fare anche prima. Una vicenda piena di ombre, amara e drammatica e che da un punto di vista giudiziario è complessa. Ma né Pino né il suo avvocato hanno intenzione di fermarsi.

«Il Tribunale gli ha riconosciuto un danno non di natura patrimoniale, individuato nella perdita di chance dal non essere stato inserito in un nucleo familiare, con lesione di valori costituzionalmente rilevanti e diritti inviolabili dell’uomo – ci spiega l’avvocato Galeno -. Non è stato riconosciuto il danno biologico inteso quale lesione accertabile con criteri di natura medico legale». 

La questione verrà sottoposta la vaglio della Corte di giustizia europea dei diritti dell'uomo. Intanto Pino vive con una piccola pensione a Girifalco insieme a sua moglie in una casetta piccola ma dignitosa, in cui quasi ogni mobile o suppellettile è stata realizzata da lui. Perché Pino è un abile artigiano, ha creatività ed estro.

Ma quei trenta anni in manicomio lo inseguono, lo insegue l’indifferenza che li ha contraddistinti: «Nessuno si è preso la briga di dire “aiutiamo questo giovane, inseriamolo nella società, mandiamolo a scuola anche se ne è nel manicomio – ci racconta - perché impari a scrivere, impari un mestiere…nulla…ero sempre buttato lì da mattina a sera». L’istruzione mancata è il suo rammarico più grande e per questo colleziona penne. Ne ha centinaia, incorniciate e fissate al muro come reliquie.

Quei trent’anni in manicomio senza che nessuno gli porgesse una mano, gli offrisse un’ancora a cui aggrapparsi per andarsene senza finire in mezzo a una strada sono simili a un’ingiusta detenzione ci spiega l’avvocato Galeno, una donna coraggiosa che ha affrontato il caso con cuore e codici.

Tanti ancora gli aspetti da chiarire e che si spera a Strasburgo saranno valutati in modo idoneo. Intanto Pino vive alla giornata nella sua Girifalco, quella in cui, ci racconta, lui è il “pazzo”. «Ma non mi chiamano così per cattiveria – sottolinea – è che tutti sanno che sono cresciuto nel manicomio. Eppure nessuno mi dà un lavoro, forse hanno paura che con un attrezzo in mano io chissà cosa potrei fare».

Gli chiediamo chi avrebbe potuto diventare se la vita non lo avesse portato in quel manicomio: «Avrei potuto essere un bravo muratore – ci dice sorridendo- un grande ingegnere, sempre studiando, un bravo meccanico o anche un delinquente, perché i delinquenti fanno parte della vita».