«Solitudine». «Rabbia». «Tristezza». I lunghi silenzi e lo sguardo perso nel vuoto, tra una parola e l’altra, raccontano una ragazza profondamente diversa da quella di “Storie maledette”. Bionda, acqua e sapone, «ancora sofferente», oggi. Lontana, remotamente, dalla giovinetta proterva, più donna dei suoi anni e impassibile, a cui si presentò Franca Leosini.

L’omicidio del fidanzato

Le cronache ricordano Rosa Della Corte come «la Mantide di Casandrino». Lei che, appena diciottenne, il 4 aprile 2003,  uccise il fidanzato di tre anni più grande, Salvatore  Pollastro: così, almeno, è stato sentenziato nel nome del popolo italiano all’epilogo di un processo fortemente indiziario. Gelosia, forse un gioco erotico finito male: movente mai davvero chiarito.

«L’umanità per alleviare il dolore»

Il suo debito con la giustizia, dopo tre lustri in carcere, una evasione, tentativi di suicidio ingerendo lamette e un crocifisso, l’ha praticamente saldato. Oggi prova a rifarsi una vita ad Ostuni, in Puglia.  «Il carcere così come lo conosciamo nel nostro Paese non migliora, non rieduca, ti riempie di solitudine e ti rende cattiva», dice. E’ stata in diversi penitenziari, la sua esperienza nella sezione femminile del “Pansera” di Reggio Calabria è ancora viva. Vivo il contrasto dei ricordi: dell’afflizione per la condizione da reclusa, da un lato, dell’umanità «di quanti si spendevano per alleviare il dolore che provavamo».  «Dolore e rabbia». E ancora: «Dolore e rabbia», ripete di continuo, Rosa. Contro questo – spiega – ha dovuto combattere per «restare una persona buona», perché il carcere «molto facilmente ti rende cattiva».

«Per sopravvivere devi cancellare il bene»

E poi: «Io sono stata dentro per quattordici anni e più e per quanto mi è toccato vivere, avendo la consapevolezza di non meritare questo, mi sono sentita morire dentro. Poi mi sono detta “cosa posso fare per riuscire ad aggrapparmi alla vita?” . E allora, visto che lì ho conosciuto solo il dolore, è al dolore che mi sono aggrappata. Un dolore che mi ha reso sì forte, che però mi ha anche fatto dimenticare le cose belle che mi erano state insegnate, la famiglia, l’amore per i genitori, i fratelli, le sorelle. Per poter sopravvivere al dolore le cose belle le devi cancellare o, almeno, metterle da parte. Poi, col passare del tempo, sono riuscita a scindere le due cose, il dolore e la rabbia, e la volontà di vivere bene, di tornare ad essere felice, e ci sono riuscita».     

«Credo ancora nell’essere umano»

In una videochiamata con il garante per i diritti delle persone private della libertà personale di Reggio Calabria, Agostino Siviglia, riavvolge il nastro. Sente di essere arrivata, Rosa Della Corte, al capolinea di un percorso. Espiata la pena definitiva per omicidio, dopo più di quattordici anni di detenzione, dice di essere una persona nuova. E la sua voce si spezza per la commozione quando, rivolgendosi al Garante, dice: «Io ringrazierò a vita te, Agostino, e le persone che, come te, mi hanno dato la possibilità di credere ancora nell’essere umano».

In Calabria sovraffollamento al 106,4%

Siviglia, dal canto suo, testimonia come la storia di Rosa della Corte non è la sola storia di redenzione, figlia di «un’umanità del pianeta carcerario, almeno in Calabria», che consente di contenere gli effetti di un «sovraffollamento giunto a livelli pre-indulto». Al 31 luglio presenti, negli undici istituti della Punta dello Stivale, 2.726 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 2.652: percentuale di sovraffollamento pari al 106,4%. «Se l’obiettivo – aggiunge – è la rieducazione e il reinserimento nella società del detenuto sono necessari interventi strutturali».

«Il carcere non sia vendetta»

Per evitare che «si torni a situazioni in cui in una cella per quattro si sistemavano letti a castello uno sull’altro e si finiva in otto, facendo perfino i turni per stare in piedi», sarebbe necessario «ricorrere più frequentemente a misure alternative alla detenzione. E’ il sovraffollamento, non dimentichiamolo, a provocare la lesione di molti diritti fondamentali. Il carcere non può essere una vendetta della società non confronti di chi ha commesso reato, anzi, è proprio in carcere il luogo in cui la legalità e la Costituzione devono affermare il loro valore».  

Verso il Garante dei detenuti per la Calabria

Agostino Siviglia è il garante della «Città di Reggio Calabria», l’unico presente in questa regione. Calabria, Abruzzo e Liguria sono, peraltro, le uniche regioni non ancora dotate di una figura istitutiva di questa figura. «Il consiglio regionale, grazie all’interessamento del presidente Irto, potrebbe provvedere presto, sono già stato audito due volte – conclude Agostino Siviglia – e credo che a breve anche la Calabria potrà dotarsi di un garante per i diritti delle persone private della libertà personale».