Mario Molinari parla dopo la morte della giovane avvenuta mentre tornavano insieme da un pranzo in Sila: «Da allora sto vivendo il momento più brutto della mia vita, vengo dipinto come un mostro, al dolore si aggiunge lo sgomento»
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Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Mario Molinari, coinvolto nella tragedia nella quale ha perso la vita Ilaria Mirabelli, giovane cosentina, lo scorso 25 agosto a Lorica.
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La lettera
«Mi sono state fatte richieste di intervista onde consentirmi, a detta di chi mi ha contattato, di far conoscere la mia versione dei fatti. Personalmente ritengo doveroso, invece, chiarire che non intendo partecipare ad un “processo” instaurato e celebrato dai mass media e alimentato da “pettegolezzi”, presunzioni e ricostruzioni fantasiose che non hanno nessuna valenza rispetto ai fatti così come si sono realmente verificati. I processi si celebrano nelle aule di giustizia e sono fiducioso, pur non essendo nemmeno indagato – è opportuno rammentarlo – che l’Autorità Giudiziaria, attraverso le indagini in corso, chiarirà come realmente si è consumata la tragedia che ha coinvolto me e Ilaria. Non sarò parte di una costruzione mediatica che mi ha dipinto come un soggetto “mostruoso”, come una persona violenta e inaffidabile e ciò perché mai ho maltrattato Ilaria, mai l’ho picchiata, mai sono stato violento in alcun modo con lei.
Il giorno in cui è accaduta la disgrazia, per come possono testimoniare i presenti, era per entrambi un giorno di felicità, vissuto serenamente, finché il mondo non ci è caduto addosso.
Da allora io sto vivendo il momento più brutto della mia vita, chiuso in casa, privo di voglia fare qualunque cosa, e al dolore per quanto accaduto quel giorno, si aggiunge lo sgomento per quanto si sussegue. Ormai sui social vengo indicato con i peggiori epiteti, additato in ogni modo e rappresentato come un mostro. Come se ciò non bastasse questa rappresentazione ha ingiustamente coinvolto anche la mia famiglia, in particolare mio padre, descrivendolo come una losca figura che starebbe cercando di insabbiare le indagini grazie a presunti rapporti e poteri forti.