«Non sono emersi elementi che portano a dire che Pytlarz fosse costretta a lavorare. Peraltro, è emerso che dal lavoro – certo faticoso in quanto come noto le attività di panificazione si effettuano negli orari notturni – poteva assentarsi qualora lo avesse ritenuto». È questo il cuore delle motivazioni della sentenza che ha assolto Domenico Mancuso, 50 anni, di Nicotera, e la madre Giulia Rosaria Tripodi, 85 anni, di Limbadi, dall’accusa di aver ridotto in schiavitù l’ex moglie di lui, la testimone di giustizia Ewelyna Pytlarz. Era stata la stessa Procura distrettuale a chiedere in aula l’assoluzione dei due, difesi dall’avvocato Francesca Comito, del Foro di Vibo Valentia.

La sola Tripodi doveva, invece, rispondere anche del reato di maltrattamenti, per il quale il pm Francesca Delcogliano ne aveva chiesto la condanna a 4 anni di reclusione. La Corte presieduta dal giudice Massimo Forciniti ha fatto cadere le accuse per il primo capo di imputazione “perché il fatto non sussiste” e per il secondo “per non aver commesso il fatto”.

Nelle motivazioni viene evidenziato che la testimone di giustizia «andava al mare quando i suoi parenti la andavano a trovare per il fine settimana, riusciva ad andare due volte a settimana dall’estetista o a trovare la cognata, a passeggiare sul lungomare con la figlia con la propria autovettura, ovvero poteva andare in Germania a far visita alla propria madre per periodi non brevi». Quell’auto, peraltro, «le era stata intestata» dopo che il suocero gliel’aveva regalata «e la utilizzava (utilizzo pressoché esclusivo) per le sue esigenze e per le esigenze familiari. Continua a leggere su IlVibonese.it