Emozioni, storia e un ritrovamento straordinario: ecco la ricostruzione di tutte le fasi che hanno portato alla realizzazione del documentario L'ultimo bacio non dato
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Avevo sentito parlare spesso della tragedia della Littorina, la strage che causò la morte di nove persone. Non avevo però mai approfondito la storia fino all’11 novembre dello scorso anno quando il presidente del gruppo Diemmecom-LaC Domenico Maduli mi inviò una email: «Sarebbe bello raccontare questa storia». Da lì a qualche giorno, il 17 novembre, ci sarebbe stata la commemorazione a 70 anni dalla strage. Un evento organizzato dal dottor Vincenzo De Maria, presidente della Pro Loco di Vibo Valentia Marina. Così decisi di andare. Quel giorno è nato il docufilm “L’ultimo bacio non dato”.
GUARDA IL DOCUFILM SU LAC PLAY
È lì che ho conosciuto Maria Carmela Donato, «per amici parenti tutti Melina» mi disse subito. Lei è l’ultima sopravvissuta di quell’immane tragedia. Viaggiava sulla littorina con la madre Clementina, tra le nove vittime. Melina aveva solo 19 anni all’epoca.
Nel corso della cerimonia di commemorazione lei e i parenti delle altre vittime presenti hanno tirato il drappo che copriva la lapide con incisi i nomi delle nove persone che hanno perso la vita.
In quel momento Melina ha interrotto la cerimonia e con la voce rotta dall'emozione si è rivolta alla sua mamma scomparsa: «Un momento intimo… mio, devo dare alla mia mamma quell’ultimo bacio che mi chiese prima di addormentarsi per sempre e che io non ho potuto darle perché non mi potevo muovere, allora glielo do adesso mammina mia sul punto dove ci siamo lasciati torniamo insieme mamma e ti do il mio bacio mammina mia».
Fu in quel preciso momento che mi resi conto che quella storia doveva essere raccontata.
L'incontro tra Melina e Ferdinando
Nei giorni seguenti ho studiato il fascicolo, le carte, i verbali, il processo giudiziario. Sono stato all'Archivio di Stato a Vibo. Ho intervistato poi i parenti delle vittime, testimoni diretti e indiretti della strage. Ho ascoltato chi ha prestato i soccorsi.
Ho incontrato Ferdinando Palmieri, lui all'epoca aveva solo 24 anni (oggi ne ha 97), abitava vicino al ponte Ciliberto. Mi ha raccontato di aver sentito un boato e qualcuno che gridava, "è caduta la littorina". Insieme a suo padre è andato sul luogo della tragedia. Davanti ai suoi occhi una scena straziante: sangue, vittime e la voce di una bambina che gridava "mamma mamma, aiutami dove sei".
Ferdinando e Melina non si sono mai conosciuti, è stato grazie al mio docufilm che si sono incontrati. Un incontro carico di emozioni: «Avete visto che il Signore ci ha dato la fortuna di conoscerci, allora eravamo bambini oro siamo delle persone molto anziane e sofferenti ma il cuore è sempre lo stesso che si emoziona per quel triste evento che è capitato» - ha detto Melina a Ferdinando.
Il luogo della strage
Per documentare nel migliore dei modi la storia e quello che è successo, ho percorso a piedi i 28 km dell'ex tratta ferrata che partiva da Mileto passando dai diversi paesi che attraversava: San Costantino Calabro, Cessaniti-Jonadi, Vena di Jonadi, Vibo Valentia, Longobardi, per poi scendere a Pizzo fino a Vibo Marina.
Dei 28 chilometri di binari non esisteva più nulla, nel 1965 erano iniziate le operazioni di smantellamento di tutta la tratta compreso i binari.
La parte più complicata è stata trovare il luogo esatto della tragedia. Sapevo che il ponte Ciliberto era stato demolito pochi anni dopo l'incidente e che non era rimasto nulla di quella struttura.
Così ho iniziato a studiare le piantine delle ferrovie calabro lucane per cercare di individuarlo.
Certo di averlo trovato, mi reco nel punto esatto. Mi muovo tra la fitta vegetazione, ma dopo soli cento metri un gruppo di cinghiali mi costringe a tornare indietro. Ritorno dopo una settimana esatta, percorro trecento metri e mi ritrovo davanti un burrone. Troppo pericoloso, se mi fosse successo qualcosa nessuno avrebbe saputo dove ero. Ritorno per la terza volta, insieme a un funzionario delle ferrovie della Calabria, Giuseppe Bulzomì. Arrivo di nuovo di fronte a quel burrone, questa volta inizio a scendere per oltre 50 metri.
Un percorso insidioso tra spine e fitta vegetazione ma è lì intravedo qualcosa: delle pietre, forse quelle erano le fondamenta del ponte. Chiedo così a Giuseppe di filmare la mia risalita con il suo cellulare affinchè potessi descrivere cosa avevo visto, ma i miei occhi una volta risalito si fermano su un piccolo muro. Su quel muro appartenente al ponte che crollo era ancora presente un binario ripiegato su se stesso, un ritrovamento straordinario. Subito dopo, con le mani e il viso pieno di graffi, sono andato dal presidente della Pro Loco per comunicargli il ritrovamento e organizzareil suo recupero. Una volta recuperato, quel binaro, unico testimone della stage, sarà collocato nel luogo della commemorazione dove c'è una lapide che ricorda le nove vittime.