Ennesima proroga alle strutture pubbliche e private non a norma con riferimento a protezione sismica ed elettrica, inquinamento, igiene e barriere architettoniche. Ma i bimbi continuano a frequentarle. Saranno sufficienti 87 mesi (dalla Legge del 2013) per costringere le scuole a mettersi in regola?
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Oltre cinque anni non sono stati sufficienti alla Regione Calabria per fare in modo che le strutture pubbliche e private che si occupano della prima infanzia potessero mettersi in regola, rispondendo a quelli che sono gli standard di legge dettati a pena di revoca di autorizzazione al funzionamento e all’accreditamento. Nulla da fare: 64 mesi di tempo sono passati vanamente e l’unico risultato ottenuto è che, poco dopo l’inizio del nuovo anno, tutto è rimasto immutato: le strutture potranno serenamente continuare a funzionare, in barba alle ferree regole dettate dalle legge regionale 15 del 2013 ed al suo regolamento d’attuazione. Insomma: l’ottimismo è di casa negli uffici della Regione Calabria, dove si confida nella Divina Provvidenza.
L’ennesima proroga
La nuova proroga accordata dal Consiglio regionale, arriva su proposta della consigliera Flora Sculco, la quale, il 24 aprile scorso, ha presentato una proposta di legge per la modifica dell’articolo 23 della legge 15/2013. Nulla di particolarmente complicato. La consigliera si è prodigata nell’illustrare le ragioni che l’hanno condotta a questa richiesta: «La legge stabilisce i requisiti organizzativi e strutturali dei servizi socio-educativi per la prima infanzia – spiega nella sua relazione – e il termine entro il quale le suddette strutture sono chiamate ad adeguarsi pena la revoca dell’autorizzazione al funzionamento e dell’accreditamento per le strutture che erogano i servizi». Poi aggiunge una frase sibillina, ma impietosa: «Suddetto termine, fissato al 30 giugno 2018, non risulta corrispondente e appropriato alle necessità e possibilità di adeguamento delle strutture, con particolare riguardo a quelle già funzionanti, ai requisiti previsti e richiesti dalla legge». Sì, avete letto bene, il termine non è corrispondente e appropriato. Ma come? Un termine che è stato già prorogato per due anni? La legge, infatti, in origine prevedeva un termine perentorio per la “messa in regola” pari a tre anni dall’entrata in vigore della stessa (29 marzo 2013). Termine che il Consiglio regionale ha provveduto a prorogare il 5 luglio 2016 per ulteriori 27 mesi, ossia fino al 30 giugno del 2018. Data trascorsa solo pochi mesi fa, ma ancora una volta insufficiente a porre rimedio alle mancanze delle strutture. A poco conta che in tutto questo tempo si sarebbero potute ricostruire ex novo tutte quante. Ma tant’è. Ecco allora intervenire la consigliera Sculco, la quale spiega come «appare necessario ed urgente differire il termine previsto per l’adeguamento, al fine di scongiurare la interruzione di un servizio considerato essenziale ed indispensabile per i bambini e le loro famiglie». Da qui la richiesta di proroga fino al 30 giugno 2020. E, in fondo, la Sculco non ha proprio tutti i torti. È assolutamente vero che l’interruzione di un simile servizio provocherebbe non pochi problemi.
Quali sono i requisiti richiesti?
Ma purtroppo è ancor più vero che quei requisiti di cui tratta il regolamento attuativo della legge 15/2013 non sono certamente dei dettagli. Andando a dare uno sguardo all’articolo 1 relativo alle norme comuni per l’autorizzazione al funzionamento, si scopre che esse riguardano, ad esempio, urbanistica e pianificazione locale ed edilizia, protezione sismica, protezione antincendio, protezione dall’inquinamento acustico ed elettromagnetico, impianti elettrici e sicurezza elettrica, protezione dalle scariche atmosferiche, sicurezza antinfortunistica, igiene e sanità pubblica, oltre a barriere architettoniche, condizioni di ventilazione e areazione e smaltimento rifiuti.
Non propriamente bazzecole in una terra da sempre esposta ad un serissimo rischio sismico.
Necessità e urgenza
La consigliera ha giustificato la sua proposta ritenendo che fosse “necessario ed urgente” prorogare il termine. Ma non è forse vero che l’unica cosa necessaria e urgente sia quella di imporre alle strutture di adeguarsi agli standard previsti dalle norme, procedendo, viceversa, alla revoca delle autorizzazioni? Sta di fatto che il Consiglio, con legge del 22 giugno 2018, ha accolto di buon grado l’invito della Sculco, fissando un nuovo termine: il 30 giugno 2020. Senza peraltro dimenticare che manca, ad oggi, una pianificazione triennale, unico procedimento regionale che andrebbe a garantire la funzionalità dei servizi per l’intero periodo. Un piano, questo, che deve essere istituito sempre ai sensi della legge 15/2013, anche per fornire delle linee univoche agli enti interessati ai procedimenti.
Cosa riserva il futuro?
Torna, quindi, un ultimo interrogativo: saranno sufficienti 87 mesi (oltre 2600 giorni) per costringere, una volta per tutte, le strutture della prima infanzia a mettersi in regola? O dovremo continuare a far frequentare ai nostri figli in tenera età strutture che non sappiamo quanto e come siano a norma, con tutte le possibili conseguenze del caso? Abbiamo sfidato già troppe volte la sorte, evitiamo di farlo ancora a colpi di proroghe.