Il profilo dell’ultima vittima della lupara bianca nelle Preserre vibonesi e quei tre figli coinvolti nelle faide della provincia. La sparizione, anomala e non denunciata, e gli interrogativi dopo il clamoroso colpo di Squadra mobile tra i boschi di Gerocarne
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Un matrimonio finito alle spalle, diversi figli. Una nuova compagna e altri figli. Una famiglia allargata con un nome pesante, quello di un casato mafioso che affonda le radici della sua fama criminale nell’epoca dell’Anonima sequestri. Antonino Loielo, però, era una figura considerata marginale nel contesto ’ndranghetista delle Preserre vibonesi, benché da ragazzo bazzicasse con i primi cugini Vincenzo e Giuseppe, ovvero i fratelli che prima si presero il dominio mafioso delle Preserre decapitando il clan Maiolo e poi, nel 2002, furono assassinati dal gruppo guidato da Bruno Emanuele.
Scomparsa mai denunciata
In attesa degli accertamenti genetici sui resti umani rinvenuti il 4 novembre dalla Squadra mobile di Vibo Valentia, del fatto che Loielo sia morto non si ha ancora certezza. Nessuno, tra i familiari, peraltro ne avrebbe mai denunciato la scomparsa. Mentre in paese, a Gerocarne, s’era accreditata la voce che si fosse allontanato volontariamente, forse con una nuova compagna. D’altronde, lo stesso Antonino Loielo, qualche anno addietro, era andato via davvero dalla Calabria, permanendo per pochi mesi nel Centro-Nord Italia, ma allora portò con se gran parte della famiglia. Poi rientrò.
Gli attentati del 2015
Si sarebbe trasferito – dato squisitamente temporale – all’acme della nuova faida delle Preserre. Il suo ritorno, però, fu tutt’altro che pacifico. Il 22 ottobre del 2015, mentre era a bordo della sua vecchia Fiat Panda, assieme alla compagna Sofia Alessandria (allora al sesto mese di gravidanza) e al figlio Alex, rimase seriamente ferito in un attentato consumato a colpi d’arma da fuoco. Il 5 novembre successivo in un attentato simile rimase ferito, anche in questo caso gravemente, un altro figlio, Walter, che viaggiava assieme ai cugini Valerio e Rinaldo. Peraltro, proprio Walter Loielo era stato già in precedenza bersaglio di un ulteriore attentato, anche questo inquadrato nel contesto della recrudescenza della guerra tra gli eredi dei boss Vincenzo e Giuseppe Loielo e i fedelissimi dell’ergastolano Bruno Emanuele.
Quei figli noti alle cronache
Con diversi precedenti, in particolare per reati in materia di armi, Walter è uno ben noto alle cronache. Anche se il più noto, tra i figli di Antonino Loielo, è certamente il maggiore, Cristian, appena 30 anni: condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Matina, consumato nel contesto della faida tra i Patania di Stefanaconi (con cui era schierato), e i Bartolotta, anch’essi di Stefanaconi, su un fronte, ed il clan dei Piscopisani, su un altro fronte. Un altro ergastolo, il giovanissimo primogenito di Antonino Loielo, lo aveva rimediato anche al termine del processo di primo grado per l’omicidio di Giuseppe Canale, consumato a Reggio nelle vesti di killer in trasferta per conto degli eredi del boss Mimmo Chirico, ucciso a sua volta nel 2010. Pochi giorni fa, però, la Corte d’Assise d’Appello ha rideterminato la pena a trent’anni di reclusione. Anche un altro figlio di Loielo rimase coinvolto nelle indagini sulla faida Patania-Bartolotta-Piscopisani, Alex, ma la sua vicenda seguì un percorso diverso da quello del fratello maggiore.
Quel corpo è suo?
Insomma, alcuni figli, nelle dinamiche criminali delle Preserre, della provincia e anche fuori di essa, erano implicati mani e piedi; Antonino invece, pur con una serie di precedenti e pendenze giudiziarie, stava ai margini. E se gli attentati del 2015 potrebbero anche rientrare nel contesto della faida che dal 2012 è tornata a terrorizzare le Preserre, non è affatto scontato che a questa sia collegata la sua eventuale scomparsa, che configurerebbe così un nuovo possibile caso di lupara bianca. Da qui sorge l’interrogativo: è proprio Antonino Loielo l’uomo che sarebbe stato ucciso a colpi di pistola, il cui corpo, avvolto in un cellophane, è stato seppellito in quel bosco di Ariola, sotto la carcassa di quella vecchia Fiat 500 rossa? Se sì, chi l’ha ucciso? E perché? E come hanno fatto gli investigatori a trovare quel corpo sepolto sotto la selva di Ariola?
I Loielo nella faida
Un interrogativo sul quale gli inquirenti glissano in attesa delle analisi scientifiche. Il fascicolo è affidato al pm di Vibo Valentia Filomena Aliberti, mentre sul campo operano i poliziotti della Squadra mobile diretti da Fabio Di Lella e dal suo vice Davide Lamanuzzi. Tutti coordinati dal procuratore Camillo Falvo, lo stesso magistrato che ha indagato sui fatti della faida delle Preserre nelle vesti di pm della Direzione distrettuale e antimafia di Catanzaro. Con l’ufficio di Nicola Gratteri anche su questo ultimo giallo, peraltro, esiste uno stretto coordinamento investigativo.
Proprio nel contesto delle indagini coordinate dal procuratore Falvo quando era pm antimafia - altro dato interessante - emerse quale fosse il presunto schieramento dei Loielo nella faida con gli eredi degli Emanuele. Il gruppo sarebbe stato guidato – secondo una informativa dei carabinieri di Serra San Bruno, acquisita agli atti del processo Gringia-Romanzo criminale – dai due cugini omonimi Rinaldo Loielo (figli dei defunti boss Vincenzo e Giuseppe). Con loro i tre fratelli Lazzaro (Salvatore, ucciso il 12 aprile 2013 mentre era agli arresti domiciliari, Bruno ed Enrico) che a loro volta erano cugini di Nicola Rimedio (ucciso il 2 giugno 2012). Schierati con i Loielo, secondo gli inquirenti, anche Giovanni Alessandro Nesci detto Alex (vittima di un doppio tentativo di omicidio, il 15 novembre 2011 e il 28 luglio 2018) e Nicola Ciconte (sopravvissuto ad un attentato tramite autobomba il 27 settembre 2017). Il gruppo, quindi, sarebbe stato completato appunto da Cristian, Alex e Walter Loielo, figli di Antonino, la cui scomparsa però non sarebbe correlata alla lunga scia di sangue lasciata dallo scontro con gli Emanuele.
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