Era risorto come un’araba fenice dopo la sentenza della Cassazione che l’aveva assolto definitivamente e pienamente riabilitato. La fine della sospensione dalle funzioni da sindaco era stato il suggello a questa attesa risalta. Un percorso di riscatto che però ora si sta infrangendo sulle tensioni politiche che gli impediscono di varare la nuova giunta
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Era la sera del 25 ottobre quando dal Palazzaccio a Roma, i giudici della Corte di Cassazione hanno sostanzialmente messo la parola fine all’affaire Miramare. Il reato di abuso di ufficio, che era costato al sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, la condanna in ben due gradi di giudizio con la conseguente sospensione dall’incarico di primo cittadino per effetto della Legge Severino, è svanito con poche parole e in un certo senso con un colpo di scena. Perché i magistrati hanno stabilito per tutti gli imputati una ipotesi ex art.56 comma 3 del codice penale, ravvisando la “desistenza”. In altre parole, accogliendo la tesi difensiva secondo cui il delitto non si è mai concretizzato.
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Dalle condanne all’assoluzione
Il processo “Miramare” prese le mosse dalle accuse di abuso d’ufficio e falso formulate per le presunte irregolarità nelle procedure di affidamento del Grande Hotel Miramare, che Falcomatà aveva assegnato a Paolo Zagarella e all’associazione “Il sottoscala”. In primo grado, nel novembre del 2021, il sindaco fu condannato a un anno e quattro mesi per abuso d’ufficio (un anno fu comminato invece al resto della giunta dell’epoca - Saverio Anghelone, Armando Neri, Rosanna Maria Nardi, Giuseppe Marino, Giovanni Muraca, Agata Quattrone e Antonino Zimbalatti -, al segretario comunale Giovanna Antonia Acquaviva, alla dirigente comunale Maria Luisa Spanò e all’imprenditore Paolo Zagarella). Nel giro di qualche ora dal primo pronunciamento arrivò da Palazzo del Governo il decreto di sospensione per effetto della Legge Severino, con la pronta nomina da parte del primo cittadino dei sindaci facenti funzione per il Comune e per la Città Metropolitana, rispettivamente Paolo Brunetti espressione di Italia Viva, e Carmelo Versace in forza ad Azione.
Un anno dopo, a novembre 2022, la posizione di Falcomatà è vagliata dalla Corte d’Appello che, contrariamente a quanto si aspettavano i legali del sindaco, conferma il reato di abuso d’ufficio e commina una condanna di un anno. Sei mesi invece per gli assessori e dirigenti della prima giunta.
Falcomatà non si è dato per vinto. Insieme ai suoi legali ha predisposto il ricorso presentato ad aprile scorso in Cassazione dove, al più, il reato sarebbe stato prescritto. Ma nessuno, o quasi, fino a quel momento aveva messo in conto quella che nei fatti è un’assoluzione. Perché il reato di abuso di ufficio che ha impegnato per otto lunghi anni la giunta Falcomatà, i giudici, gli avvocati, i cancellieri, le guardie giurate, e così via, non solo non è stato prescritto, ma nei fatti non è stato commesso. I giudici di Cassazione lo hanno certificato con un annullamento senza rinvio.
Una sentenza che ha coinvolto anche il consigliere regionale Giovanni Muraca che, subentrando a Palazzo Campanella a Nicola Irto dopo l’elezione al Senato, era riuscito a partecipare a qualche riunione dell’assemblea legislativa regionale per poi arrendersi al decreto di sospensione giunto direttamente dal Consiglio dei ministri. E proprio Muraca dopo la parentesi di Antonio Billari, ha ripreso il suo posto al Consiglio regionale.
Il rilancio
È chiaro che quella di Falcomatà ha tutte le caratteristiche per fungere da “precedente giudiziario” in piena regola. Come detto, otto anni di processi e una città privata del suo sindaco eletto per due anni, bastano per far insorgere gli eterni contestatori dell’abuso d’ufficio. In primis i sindaci di tutta Italia, al cospetto dei quali proprio il giorno dopo l’assoluzione Falcomatà di presenta accompagnato dal presidente Anci Antonio Decaro ricevendo baci, abbracci e tutti gli onori nel corso dell’assemblea nazionale in svolgimento a Genova.
Proprio da lì lancia la sua riscossa. Intanto con un messaggio chiaro agli organi parlamentari e ai colleghi sindaci: «La riflessione vera che bisogna fare è consentire ai sindaci di fare i sindaci, senza che questo ingeneri la paura della firma – ha detto, spiegando poi - avere paura è un sentimento che il sindaco non si può permettere di provare».
Così senza più paura, Falcomatà è tornato in città per riprendere le redini di Palazzo San Giorgio usando parole chiare e facendo in qualche modo anche autocritica, e puntando tutto su un «nuovo inizio» non rappresentato soltanto da una semplice sostituzione degli orchestrali: «Un nuovo inizio – ha detto in una intervista rilasciata a caldo al nostro network - significa che tutto quello che noi dovremo andare a fare, per completare il nostro mandato, per tradurre in fatti concreti la visione di città per la quale i cittadini ci hanno eletto, parte da una riconnessione sentimentale con i cittadini. Quindi vivere meglio, tutti».
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Parole cariche di significato, soprattutto per la città, da sempre divisa. Parole che però non avevano ancora fatto i conti con la realtà di una situazione politica nel frattempo mutata, e non certo in meglio.
La nuova giunta che non arriva
I buoni propositi di Giuseppe Falcomatà sono stati accompagnati da una sorta di diktat per le forze politiche: azzeramento. In sostanza il sindaco appena reintegrato ha fatto sapere che avrebbe voluto rimodulare l’esecutivo, e le premesse per una rapida soluzione c’erano tutte, visto che il facente funzioni Brunetti nell’ultima giunta presieduta era riuscito a strappare agli attuali assessori la promessa, ma solo verbale, di dimissioni. Una soluzione che poteva apparire indolore per tutti i protagonisti, evitando di mettere il sindaco nella condizione di “cacciare” qualcuno dalla sua futura squadra, creando un’antipatica classifica di promossi e bocciati.
Le cose però non sono andate per come sperava Falcomatà. Già nei giorni successivi, quando gli assessori sono stati chiamati a presentare al sindaco una relazione sull’attività nei due anni della sua assenza, sono venuti fuori i primi mal di pancia, complicando un quadro già abbastanza bollente a palazzo San Giorgio, dovuto anche a diversi riposizionamenti in aula, con cambio di casacca in alcuni casi anche clamorosi. Basti pensare al passaggio di Antonino Castorina dal Pd ai Democratici e progressisti di Nino De Gaetano, o dei fedelissimi Armando Neri e Mario Cardia alla Lega, dopo un brevissimo periodo di permanenza nel gruppo misto.
Sta di fatto che col passare dei giorni – ora è passato un mese e mezzo - il diktat di Falcomatà non è più un segreto. La proposta del sindaco ai partiti che lo sostengono, e in primis il suo, il Partito democratico, è quella di azzerare l’attuale esecutivo rimodulandone anche i numeri. Cosicché, a fronte dei quattro esponenti in giunta, al Pd ne toccheranno due, mentre gli altri partiti (Italia viva, Azione, Dp, Socialisti) si dovranno accontentare di una postazione.
La questione Brunetti e il divieto Anac
A complicare le cose, come se ce ne fosse stato bisogno, anche la volontà di Falcomatà di escludere dall’azzeramento proposto il fido Paolo Brunetti. Eletto nelle fila di Italia Viva, Brunetti è stato nominato quale facente funzioni del Comune trovandosi davanti uno dei periodi più caldi dell’amministrazione comunale. Basti pensare all’eterna questione aeroporto con i bandi deserti, l’adesione ad Arrical e il subentro di Sorical nell’idrico, ma anche la sempre bollente questione dei rifiuti e l’assegnazione della Reggina calcio affondata dalle mancanze del patron Saladini.
Nel corso del tempo i rapporti tra Brunetti e Italia Viva si sono sempre di più affievoliti, fino alla fuoruscita dello stesso dal partito di Renzi che nel nuovo esecutivo voluto da Falcomatà avrebbe voluto una postazione che – salvato Brunetti – ora il sindaco non vuole riconoscere perché il gruppo comunale è ridotto ad un elemento.
Di fronte alla questione Brunetti, anche gli altri partiti hanno cominciato ad avanzare pretese. A cominciare proprio dal Pd che all’insegna del più classico “o tutti o nessuno”, ha bloccato le spinte rinnovative di Falcomatà. Ma Brunetti per il primo cittadino è diventata una pedina preziosa, anche per via di un divieto imposto dall’Anac proprio al sindaco reintegrato: per novanta giorni dopo il suo reintegro, infatti, Falcomatà non potrà firmare nomine di sua competenza. Il caso risale a qualche anno fa, quando a finire nel mirino dell’Anac, era stata la nomina dell’avvocato Giulio Tescione alla guida della società partecipata Hermes. Provvedimento che era stato giudicato anomalo dal consiglio dell’Autorità, per l’incompatibilità dello stesso Tescione. Toccherà al segretario comunale capire se quel divieto imposto dall’Anac si estende anche ai decreti di nomina degli assessori, E tutto fa presupporre di si. E se così è, prima del 25 gennaio Falcomatà non potrà firmare atti.
Una tegola a cui lo stesso sindaco ha ovviato facendo firmare proprio a Brunetti in qualità di vicesindaco, atti in scadenza o improrogabili.
Ancora rinvii
I partiti hanno così pensato di fare fronte comune davanti alle richieste di Falcomatà, chiedendo al Partito democratico di convocare una interpartitica, durante la quale sono state messe sul tappeto le contro richieste delle formazioni che siedono a Palazzo San Giorgio. Ma dopo la prima riunione sembra si sia arenato tutto. Anche perché nessuno ha intenzione di fare un passo indietro rispetto ai propri rappresentanti in giunta. E così lo stesso Falcomatà che non arretra di un millimetro, almeno per ora, rispetto alla sua idea di azzeramento e rinnovamento.
In un quadro così frastagliato è normale che si susseguano incontri fugaci, interlocuzioni, ammiccamenti e prove di dialogo anche fuori dalle stanze deputate a decidere il futuro dell’amministrazione reggina, ma ad oggi la prima data utile per un nuovo incontro sembra essere quella di venerdì prossimo. A ridosso della settimana che porterà alle festività natalizie, quando evidentemente in tanti saranno impegnati in altre faccende.