La violenta insurrezione che nel 1945 fu guidata da Pasquale Cavallaro portò il centro reggino alla ribalta delle cronache nazionali. Adesso è scontro tra chi vorrebbe istituzionalizzare il ricordo di quei giorni e chi invece considera quanto avvenne una vergogna da cancellare
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Una piazza per la Repubblica rossa, anzi no. A 80 anni dai cinque giorni che, sugli ultimi rinculi della guerra, portarono Caulonia e la sua rivoluzione alla ribalta delle cronache nazionali, il paese resta ancora diviso tra chi vorrebbe istituzionalizzarne la memoria e chi invece vorrebbe voltare pagina.
Una storia, quella della rivolta guidata da Pasquale Cavallaro, con cui Caulonia non ha mai fatto realmente i conti nonostante il tanto tempo trascorso, e che si riverbera ciclicamente lungo i decenni attraverso divisioni sempre più nette tra chi quell’esperienza la ritiene preziosa rivendicazione popolare e chi la bolla come parentesi di vendetta paesana dopo il ventennio fascista.
Una storia che si accese e si spense in poco meno di una settimana, maturata al tramonto dalla seconda guerra mondiale, in un angolo di Calabria poverissimo e ancora formalmente sotto occupazione anglo-americana. Una storia su cui sono stati scritti (da destra e da sinistra) decine di libri e su cui non esiste ancora una memoria condivisa.
Un morto ammazzato (il parroco del paese Gennaro Amato), un tribunale del popolo allestito in piazza, bandiere rosse sui tetti e casse d’esplosivo e mitragliatrici da campo lungo le vie d’accesso al paese. E poi più di 300 rivoltosi (tutti poveri e poverissimi che in quella rivolta avevano visto un’opportunità di riscatto) che quando tutto finì furono arrestati, umiliati pubblicamente e infine incarcerati prima dell’amnistia che segnò il libero tutti: quei pochi giorni all’inizio del marzo ’45 hanno inevitabilmente segnato un solco profondo nel paese. Solco che è riemerso, quando l’idea di assegnare alla memoria di quella esperienza la nuova piazza recuperata nel centro storico è diventata più concreta.
Galeotto fu un convegno estivo in cui, sull’onda del racconto di quei giorni, l’idea di dedicare la piazza alla Repubblica rossa di Caulonia ha cominciato a trovare sponde anche tra i banchi della maggioranza. Il successivo incontro pubblico, storia di qualche giorno fa, destinato a discutere le diverse tesi di ricostruzione degli eventi – con i loro risvolti politici anche a livello nazionale – aveva di fatto lasciato inalterate le posizioni delle due diverse “memorie” e si era risolto con un sostanziale nulla di fatto. A metterci il carico ci ha pensato però l’ex sindaco Ilario Ammendolia, che sulla vicenda ci ha scritto un paio di libri e che è tornato sull’argomento con una lettera aperta a sostegno. Lettera che ha provocato l’immediata reazione di chi, Luigi Franco, con i libri si trova altrettanto a suo agio e che sulla vicenda, da direttore editoriale di Rubbettino, ha pubblicato diversi volumi.
«Penso che il tempo sia maturo per dare ad una nostra piazza il nome “Repubblica rossa di Caulonia” – ha scritto l’ex sindaco – è stata una vicenda di popolo ed i protagonisti non furono angeli e santi ma gli ultimi della terra a cui per secoli è stata negata la felicità e la stessa dignità di persone umane. Il nome ad una piazza non cambierà il futuro del paese, ma avrà la funzione di ricordare migliaia di uomini e donne, spesso analfabeti, straziati dalle fatiche e dalle sofferenze».
«Insistere ancora una volta, nel voler intitolare una piazza alla Repubblica rossa – scrive a sua volta Franco – significa calpestare la memoria di una vittima innocente quale fu il parroco Amato; significa calpestare la memoria di quanti in quelle giornate subirono violenze inenarrabili, non agrari o irriducibili fascisti ma gente umile, sarti, calzolai, artigiani, agricoltori, comunisti dissidenti – scrive ancora Franco che sottolinea come il problema non sia tanto nella rivolta del ’45 – quanto al falso storico e alla mitizzazione di essa che si è fatta a partire della metà degli anni’70».