VIDEO | Nel libro della dottoressa Rosy Andracchio le esperienze vissute lavorando per l’Asp di Crotone appena scoppiata la pandemia
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C’è la storia di una diciassettenne incinta e positiva al Covid, ma anche l’esperienza di una famiglia che si negativizza dopo oltre mese e riesce finalmente a riabbracciarsi, in un’esplosione d’amore e gioia. Sono 17 gli episodi che Rosy Andracchio affida al libro, Oltre l’armatura, in cui racconta il suo impegno quotidiano nell’Unità speciale di continuità assistenziale dell’Asp di Crotone, nella lotta contro il coronavirus, proprio all'inizio della pandemia.
Il lavoro sul territorio
Fin da subito, il giovane medico, 27 anni di Strongoli, ha scelto di schierarsi in prima linea per combattere il Covid. Ha risposto, appena abilitata alla professione, a una manifestazione di interesse dell'Asp per entrare a far parte delle Usca e portare il suo contributo sul territorio, a casa dei pazienti positivi al virus. «Non ho esitato un attimo –ci racconta durante la presentazione del libro, a Crotone – perché penso che il territorio sia la chiave vincente per rispondere a questa emergenza. Infatti, trattare i pazienti positivi a domicilio è stata anche l’arma vincente affinché nella prima ondata, la nostra provincia venisse considerata la prima provincia Covid free».
Le storie e le emozioni
Decine le persone che ha visitato nel corso del suo lavoro, facendo ogni volta un carico di emozioni intense, che l’hanno coinvolta in prima persona non solo come medico, ma anche come donna. Nelle storie riportate nelle pagine del libro, c’è la volontà «di far emergere l’aspetto umano più che quello prettamente scientifico del medico, e di conseguenza – sottolinea la dottoressa Andracchio - delle persone. Emerge la necessità di curare il malato più che la malattia».
Emozioni, dicevamo: «Sono diverse quelle provate, dalla paura alla pura gioia. C’è stata gioia quando, ad esempio, ho rivisto riabbracciare una famiglia che è stata distante per un mese, poi scoprono di essersi negativizzati e quindi racconto di questo abbraccio, in cui il padre rappresenta l’ultimo strato di questo gomitolo d’amore».
Andracchio riserva anche spazio a momenti di tristezza, dovuti essenzialmente alla «paura, al timore delle persone, soprattutto durante la prima ondata, che non sapevano cosa aspettarsi. Ma la tristezza l’avverto anche nel disinteressamento nei confronti dei nostri anziani, anche se per fortuna di questi episodi ce ne sono stati pochi».
Un aiuto anche psicologico
L’operato del personale dell’Usca non è solo «dal punto di vista medico, ma anche psicologico, soprattutto all’inizio della pandemia, quando le persone erano costrette a vivere in quarantena, nel momento in cui l’Italia entra in lockdown totale. Erano sommerse dalle notizie che trasmettevano i media, sommerse anche dalla paura. E a qual punto, noi che eravamo gli unici che continuavamo ininterrottamente a girovagare per i paesi dell’entroterra calabrese, cercavamo di dare loro forza, di trasmettere energia positiva e di far vedere la luce in fondo al tunnel».
Un’esperienza forte, che Andracchio ha poi deciso di condividere con tutti, mettendola nero su bianco: «L’ho fatto per due ragioni. La prima è per lasciare traccia di questo momento storico, la seconda è per il potere della condivisione: le idee, i pensieri, le parole si spengono e si inaridiscono quando rimangono chiusi in cassetto, mentre farli emergere partecipa la bene comune».
Signorina invece che dottoressa
Rosy Andracchio è, dunque, una testimone diretta del Covid, ma anche di un diffuso e antipatico pregiudizio, che portava molti pazienti a rivolgersi a lei chiamandola signorina invece che dottoressa. «Un fattore culturale che non riguarda solo il Sud. Per diventare medico si studia per circa 9 anni: perché un uomo diventa automaticamente un dottore, mentre una donna diventa signora o signorina? Signorina, poi, è un vocabolo che veniva attribuito alle donne che dovevano trovare marito, quindi adesso va un po’ stretto a chi, come me, ha studiato tanti anni e non soltanto nell’ambito medico».