La Regione non poteva decidere autonomamente di mettere in liquidazione coatta amministrativa il Corap, scavalcando così il Governo. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza 22/2021 - pubblicata questa mattina e firmata da Giancarlo Coraggio (presidente), Stefano Petitti (redattore) e Roberto Milana (direttore della Cancelleria) – dichiarando illegittimo l’articolo l della legge della Regione Calabria n. 47 del 25 novembre 2019.

La scelta della Cittadella di intraprendere questa strada era stata impugnata dal Governo circa un anno fa e già all'epoca non erano mancate le polemiche tra Fernando Caldiero, commissario straordinario del Consorzio regionale per le attività produttive, e il revisore unico dello stesso Corap, Sergio Tempo, con quest'ultimo che aveva anticipato ciò che, qualche mese dopo, avrebbe confermato la Suprema Corte: la liquidazione coatta amministrativa non era la procedura più adatta per risollevare le sorti del consorzio e, comunque, sarebbe spettato a Roma e non a Catanzaro avviarla eventualmente.

Le contestazioni del Governo

Secondo l'Avvocatura generale dello Stato «l’assoggettabilità del Corap a liquidazione coatta amministrativa avrebbe invaso le materie “giurisdizione e norme processuali” e “ordinamento civile”, riservate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato». La Giunta regionale, però, a ridosso del Natale 2019 aveva proceduto ugualmente in questo senso, con Mario Oliverio che aveva anche nominato il commissario liquidatore e stabilito la prosecuzione dell’attività del consorzio per altri dodici mesi. Il problema è che solo lo Stato avrebbe potuto farlo, perché è ad esso che compete indicare chi possa aderire a procedure come quella in questione. Stabilire, inoltre, di tenere in vita le attività avrebbe attribuito alla Regione, quale autorità di vigilanza, «poteri riservati all’autorità giudiziaria». La legge regionale, dunque, avrebbe leso il principio di eguaglianza, rendendo applicabile la procedura di liquidazione «senza individuare una categoria generale ed astratta, ma limitandosi ad estendere la disciplina comune di fonte statale a un soggetto storicamente determinato». Così facendo avrebbe forgiato una liquidazione «sui generis, la quale reca dei tratti eccentrici rispetto a quelli tipici della legge fallimentare».

La decisione dei giudici

A nulla sono valse le difese della Regione e dello stesso Corap, secondo cui un'eventuale bocciatura della norma impugnata avrebbe generato «un paradosso giuridico». I giudici hanno ribadito, invece, che «la circostanza che gli enti pubblici, quand’anche esercenti attività d’impresa, siano istituzionalmente esclusi dall’ambito applicativo del fallimento non implica che essi siano automaticamente suscettibili di liquidazione coatta amministrativa, occorrendo pur sempre una norma di legge che lo preveda». E quella norma non può scriverla una Regione, considerando i «rilevanti effetti sulla tutela giurisdizionale dei crediti» che comporta. «Non vi è dubbio, infatti, che la sottoposizione del debitore alla procedura concorsuale di carattere speciale – si legge nella sentenza - implichi una deroga marcata alle regole ordinarie di accertamento dei crediti e di responsabilità patrimoniale, risolvendosi in una tutela differenziata del ceto creditorio, e che questa non possa essere definita in modo disomogeneo dalle singole legislazioni regionali, dovendo viceversa corrispondere all’esigenza di uniformità sottesa alla riserva di competenza statale». Risulta quindi «irrilevante» che la Regione sia chiamata a vigilare sulle attività dei suoi enti strumentali, qual è il Corap.

I problemi che rimangono

La Corte bacchetta anche Roma, segnalando che «l’odierno assetto normativo appare carente di una disciplina uniforme di fonte statale idonea a consentire la risoluzione delle crisi di solvibilità degli enti strumentali vigilati dalle Regioni, e, tra questi, dei consorzi di sviluppo industriale». Evidenzia quindi «la necessità di un intervento regolativo dello Stato», considerato che la Calabria non è stata l'unica a cercare di risolvere problematiche come quelle del Corap in autonomia. Ma tutto ciò non è sufficiente «a investire ogni singola Regione del potere di definire proprie e autonome forme di risoluzione, le quali, viceversa, appunto per le ricadute immediate sulla tutela giurisdizionale dei diritti dei creditori, non possono che essere omogenee a livello nazionale». In attesa di un adeguamento delle norme, dunque, stop alla liquidazione coatta con probabile addio al commissario nominato da Oliverio, considerato che il suo incarico era figlio della legge bocciata dalla Suprema Corte. Restano i milioni di debiti accumulati, però, e i dubbi su come chiudere il buco che si è creato nelle casse.

 

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