VIDEO | L’imprenditore che ha pagato il prezzo più alto. Dall’assassinio del figlio all’infamia di una condanna «ingiusta»: essere considerato colluso dei mafiosi che ha denunciato e gli hanno distrutto la vita
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Nino De Masi - uomo simbolo della resistenza alla ‘ndrangheta, un altro dei condannati a morte dalla cosca Crea di Rizziconi - dice di lui: «Pasquale Inzitari è una gran brava persona ed ha pagato il prezzo più alto, un prezzo inimmaginabile». Il quale prezzo più alto, la morte di un figlio, che peraltro non ha mai avuto giustizia. Inzitari, un tempo, era non solo un uomo facoltoso ed un politico di successo. Poi «il mondo - spiegò egli stesso ai carabinieri, quando sporse denuncia dopo l’attentato di Corigliano Rossano al quale scampò quasi miracolosamente il 25 luglio 2017 - si è lentamente rivoltato contro di me».
Svolta nelle indagini | «L’omicidio fallì perché una delle pistole si inceppò»: il pentito rivela la vendetta del clan Crea contro Inzitari
L’origine del supplizio
È Rizziconi, negli anni del miracolo economico fiorente snodo commerciale adagiato sulla Piana di Gioia Tauro, il teatro di una vicenda umana devastante, metaforica della ferocia di una ‘ndrangheta parassitaria e vendicativa, che ha piegato una comunità laboriosa. In quell’estate di sei anni fa, graziato da una pistola che s’inceppò, Pasquale Inzitari riannodò senza infingimenti i fili di una storia tragica e intricata, che ebbe inizio nell’ottobre del 2005, quando assieme al suo socio denunciò il tentativo di estorsione subito dal clan Crea. Stava realizzando il Porto degli Ulivi, uno dei centri commerciali più grandi della Calabria e la famiglia del boss Toro Crea voleva la sua parte: «Una richiesta estorsiva pari a 800.000 euro». Non si limitò a denunciare, ma offrì alla Squadra mobile di Reggio Calabria una «collaborazione attiva», che consentì agli inquirenti di arrestare in flagranza di reato Domenico Crea, figlio del mammasantissima ed erede alla guida del casato mafioso.
Prima il cognato, poi il figlio
Imprenditore caparbio e politico rampante, già vicesindaco del suo paese e consigliere provinciale, finì però clamorosamente in arresto nel maggio del 2008con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa «perché avevo ceduto – spiegò dopo l’agguato fallito agli inquirenti – l’otto per cento della mia quota societaria». Si professò innocente, sempre, spiegando come proprio le sue denunce dimostrassero come egli fosse vittima dei Crea e non un loro colluso. Non fu creduto: dovette sopportare il carcere, il processo, una condanna poi divenuta definitiva e l’amministrazione giudiziaria, sin dal 14 agosto 2009. Poco meno di un anno prima, straziato da un’autobomba e dopo una lunga agonia, gli era stato ucciso il cognato, Nino Princi, già suo socio, che aveva sposato la figlia di Domenico Rugolo, «elemento di spicco della criminalità organizzata a Castellace». La morte di Princi, nel maggio del 2008, non era evidentemente abbastanza e nel dicembre del 2009, non paga, la ‘ndrangheta versò sangue innocente: la vendetta verso Pasquale Inzitari si consumò davanti ad una pizzeria di Taurianova, quando a colpi di pistola fu trucidato suo figlio Francesco, 18 anni appena, che nulla aveva a che fare con contesti malsani e le vicende imprenditoriali e politiche del padre.
Testimone, nonostante tutto
Nonostante i laceranti lutti, le modalità tanto eclatanti quanto raccapriccianti attraverso cui sono stati provocati, e l’insostenibile sconforto per quella condanna ritenuta così ingiusta – egli, dunque, paradossalmente colluso con i suoi sadici carnefici – Pasquale Inzitari testimoniò ripetutamente nei processi a carico dei suoi estorsori, poi condannati tutti, definitamente, dalla Corte di Cassazione: 9 anni a Toro Crea, 7 ai figli Giuseppe e Domenico. Dopo l’attentato fallito ai suoi danni, nell’estate del 2017, rammentò ai carabinieri anche quando salì sul banco dei testimoni nel processo di Palmi, puntando l’indice contro gli imputati, che sarebbero stati condannati a pene fino a vent’anni di reclusione. Entrò in aula nel settembre del 2009, appena due mesi dopo fu ammazzato il suo Francesco. Non ebbe pietà di lui la malavita, mentre lo Stato con lui fu inclemente. Con i figli di Toro Crea a lungo latitanti, solo dopo l’agguato di Corigliano Rossano a Pasquale Inzitari fu assegnata la scorta.
Un paese sotto scorta
Questa è un’area - ricorda don Pino Demasi, parroco di Polistena che nella Piana di Gioia Tauro esprime il suo mandato pastorale nel solco della cultura antimafia - che «ha davvero troppe persone sotto scorta e che rischiano davvero la vita». Inzitari, solo l’ultimo in ordine di tempo. C’è Nino De Masi, c’è l’ex sindaco Nino Bartuccio, c’è il giornalista Michele Albanese. Ma a certe latitudini non basta la protezione per sentirsi al sicuro. L’omicidio di Marcello Bruzzese, assassinato a Pesaro, in località protetta, il giorno di Natale del 2018. Era il fratello del collaboratore di giustizia Girolamo. Una vendetta trasversale covata per anni, sin dal 2003, quando Girolamo Bruzzese, prima di consegnarsi alle autorità e pentirsi, sparò a Teodoro Crea, che però sopravvisse. E nessuno dei suoi nemici avrebbe così avuto scampo. Le vittime, però, forse è giunto davvero il tempo che abbiano giustizia. Tutte.