«Avversione alla mafia, alla ‘ndrangheta e alla camorra». Nel manifesto degli «impegni solenni» di “Noi insieme”, una delle liste che si candidano alle elezioni di primavera del Grande Oriente d’Italia, c’è un passaggio dedicato alla necessità che la massoneria intraprenda un netto percorso antimafia. Sono scesi in campo così Leo Taroni, candidato alla Gran Maestranza, e l’aspirante Grande Oratore Silverio Magno. È storia di qualche settimana fa, rimbalzata sui media nazionali assieme alla reazione dell’attuale Gran Maestro Stefano Bisi e di quel pezzo di massoneria che vorrebbe muoversi in continuità rispetto al recente passato. Davanti alle parole di Taroni e Magno, Bisi ha redatto una balaustra, j’accuse telematico contro i due. Se Magno scriveva di provare dolore nel «vedere sempre di più la massoneria (…) sempre più spesso accostata al malaffare e alla criminalità organizzata, quanto di più lontano dalla nostra essenza», Bisi replicava: «Nessuno osi affermare che il Grande Oriente d’Italia Palazzo Giustiniani è compromesso e solidale con la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra (...) Il Grande Oriente d’Italia è sano, onesto, casa di civiltà, umanesimo, cultura, esoterismo, fratellanza e libertà nel rispetto di un’antica tradizione». Ai primi di novembre Taroni e Magno rischiano di finire nel mirino di una “tavola d’accusa” (un processo massonico, ndr) e, forse, di essere sospesi o espulsi. Per il Goi la scissione non è mai stata così vicina. Paradossale che a innescare il tumulto sia stato un manifesto antimafia. Una sfida a tre a colpi di dossier.

Da sinistra: Seminario, Taroni, La Pesa

La candidatura di Seminario e le logge calabresi nel mirino

La questione si sarebbe risolta nel chiuso dell’obbedienza se non fosse stato per un canale Telegram di (contro)informazione massonica, il Cavaliere Nero, che ha diffuso documenti ufficiali, alcuni dei quali inediti, e provato ad aprire un dibattito che aiutasse a fissare qualche paletto tra continuità e rinnovamento. Si potrebbe banalizzare e ricondurre tutto a uno scontro tra giustizialisti e garantisti. A uno scambio di dossier e veleni, alla riproposizione di atti d’indagine e stralci di sentenze fallimentari per mettere in cattiva luce questa o quella fazione. Di sicuro c’è che lo scontro si fa più caldo attorno alla Calabria e alla loggia “Michele Morelli” di Vibo Valentia, storico feudo di uno dei massoni più in vista d’Italia, Ugo Bellantoni, già capo dell’Ufficio tecnico della città e indagato nella fase preliminare dell’inchiesta Rinascita Scott prima che la sua posizione fosse stralciata dalla Dda di Catanzaro. Bellantoni fa parte dello schieramento che sostiene la continuità con il Gran Maestro uscente: il gruppo ha individuato nell’imprenditore rossanese Antonio Seminario il nuovo potenziale capo del Goi. Sarà lui a sfidare Taroni e Pasquale La Pesa, terzo incomodo nello scontro al calor bianco che culminerà nella votazione del 3 marzo 2024 (con eventuale ballottaggio il 24 marzo). 

Il caso della loggia “Morelli” di Vibo Valentia

I “calabresi” sono finiti nel mirino: archivi dei giornali online saccheggiati per raccontare – dagli atti delle inchieste – i rapporti imbarazzanti tra Bellantoni e Giovanni Giamborino (uomo vicino al clan Mancuso) per una pratica edilizia. Servizi pubblicati dalle testate locali per evidenziare l’indulgenza del Goi nei confronti della loggia “Morelli”. Un caso per tutti. Nell’operazione “Diacono” della Procura di Vibo Valentia, le indagini sul “diplomificio” che ruota attorno all’Accademia Fidia di Stefanaconi portano i carabinieri a scoprire un arsenale in casa di Davide Licata, figlio di Michele, preside dell’istituto. I militari trovano armi e altro: due valigette porta documenti che contengono abbigliamento massonico e un cellulare. In quel telefono gli investigatori trovano una chat con i presunti nominativi degli appartenenti alla loggia “Morelli”. Come riporta il Vibonese, quella lista è ricca di “sorprese”: medici, avvocati, commercialisti, pubblici impiegati, liberi professionisti, giornalisti, esponenti politici di destra, centro e sinistra, da Vibo Valentia a Pizzo, da Maierato a Joppolo. Mentre gli accertamenti investigativi proseguono, la giustizia massonica non ritiene di dover effettuare alcun intervento su quella loggia, anche se non è la prima volta che si ritrova sfiorata dalle inchieste per i comportamenti di un suo membro. Il 3 novembre uno degli utenti chiede in chat al Cavaliere Nero: «Perché la Michele Morelli si può permettere di sfornare indagati a ripetizione senza che gli si faccia una ispezione magistrale?».

La predisposizione “genetica” della Calabria per la massoneria

Tra un link e una segnalazione, il dibattito – che si svolge tra utenti anonimi: non uno scandalo per un’associazione i cui elenchi degli iscritti non sono pubblici – infuria ma la domanda di base è una sola: può il modello calabrese diventare un riferimento per la massoneria italiana? Qualcuno spiega che «la prossima corsa alla Gran Maestranza» sarà «una vera battaglia in cui tutti i fratelli di una certa levatura morale devono dare tutto per respingere l’assalto» di Bellantoni e Seminario. Pregiudizio etnico o preoccupazione fondata? I destinatari degli attacchi tacciono, non intendono replicare a una chat anonima. Intanto c’è chi parla, riferendosi proprio alle vecchie inchieste giudiziarie, di Vibo come una «realtà difficile, in cui il malaffare è contiguo (socialmente e storicamente) alle varie appartenenze massoniche». È una bocciatura tout court, forse persino ingenerosa. Il Cavaliere Nero chiama alla responsabilità i più alti livelli della massoneria: «Se il Goi non è in grado di fare pulizia da solo in quei territori, è bene che le Logge, in quei territori, non ci siano». 

Non è un caso che si parli di Vibo Valentia, se non altro per questioni di demografica massonica. In un articolo de "Il Sole24Ore" del settembre 2016, a firma del giornalista Roberto Galullo, si indicava per la cittadina calabrese la presenza di «un massone per ogni 18 maschi maggiorenni». Giornalia.it, piattaforma web che ha dedicato grande spazio allo scontro nel Goi, definisce questi numeri «una sorprendente – quasi "genetica" – predisposizione per il perfezionamento latomistico – da parte della popolazione locale – degna dei migliori circoli esoterici della Praga del Cinquecento». I numeri sono importanti, a Vibo Valentia come in tutta la Calabria: a queste latitudini si può decidere chi vincerà le elezioni del prossimo mese di marzo.

«Siamo la cosca più famosa al mondo»

La chat di “controinformazione” massonica pesca un altro episodio che attizza la discussione. È un video girato a Reggio Calabria in cui si vedono alcuni alti esponenti del Goi calabrese che, durante un evento pubblico del 2018, definiscono la massoneria «la cosca più famosa al mondo» perché «contrariamente alla mafia e alla ‘ndrangheta noi siamo presenti dappertutto». Si tratta un filmato lontano del tempo, probabilmente è una battuta riuscita (davvero) male, ma le polemiche non si placano. Uno degli utenti prova a contestualizzare: «Credo che bisognerebbe conoscere bene cosa è stato detto prima da chi è sullo scranno a me pare che i termini “locale” e “cosca” vengano usati in chiave ironica visto anche che dopo viene presa un netta e precisa posizione in contrasto con le mafie». Ma il sentimento generale è di condanna: «Nella infame affermazione di chi siede allo Scranno sta pure l’insensata spiegazione che “la ‘nostra cosca’ (cioè il Grande Oriente d’Italia) è ben più importante delle altre cosche, rappresentate dalla Mafia, dalla ’Ndrangheta e dalla Sacra Corona Unita, perché è più diffusa e segreta, ed ha canali in tutto il mondo come organismo unitario, quando la presenza delle altre cosche, invece, è più frammentaria”. Spiegazione che non lascia dubbi, escludendo qualsiasi possibilità di “lapsus” (comunque molto grave)». Lo scontro non prevede spazio per eventuali ironie e non risparmia, ovviamente, neppure Antonio Seminario. 

La condanna di Pittelli e le chiamate a Taroni

Definito nella chat «un calciatore di serie B che domani potrebbe a giocare in Champions League», l’imprenditore rossanese viene criticato perché da Gran Maestro aggiunto si sarebbe limitato alle promulgazioni «di tavole d’accusa e relative condanne ai suoi competitor». Finisce nel mirino anche un collega di Seminario, “colpevole” di sostenerlo. Si tratta del capo del Rito di York di Vibo Valentia, accusato di avere interessi nello stesso campo (i prodotti petroliferi) dell’aspirante Gran Maestro. La burrasca riprende dopo la condanna di Giancarlo Pittelli, ex parlamentare e massone del Goi, a 11 anni nel processo Rinascita Scott. Altro “fratello” calabrese: possibile – ci si chiede nelle discussioni del “Cavaliere Nero” – che nessuno dei titolatissimi referenti della regione riesca a porre un freno alle connivenze criminali di una minoranza di grembiuli “sporchi”? Dibattito antico e, probabilmente, senza un vero sbocco. D’altra parte anche Leo Taroni ha avuto in passato rapporti con Pittelli: questioni di “fraterno” soccorso quando l’ex deputato cercava di sistemare la propria situazione debitoria (a suo dire generata da una truffa subita anni prima) con una società di Ravenna. Giusto qualche contatto – diretto o mediato – e nulla più. Nella lotta tra chi è più puro, però, non si butta via nulla.