In principio fu la “manina”. Quella di Domenico Tallini, presidente del Consiglio regionale della Calabria, arrestato questa mattina e posto ai domiciliari con l’accusa di voto di scambio con la cosca Aracri.
Quanto accadde alla fine di maggio, con Tallini primo sponsor della legge-vergogna sui vitalizi accumulabili anche a Consiglio regionale sciolto o in caso di dimissioni, insomma in qualunque circostanza in cui subentrasse la decadenza dalla carica, compreso in caso di arresto, fu il primo grande inciampo del presidente dell’Assemblea nel corso di questa incredibile e brevissima Legislatura.

 

Era sua, infatti, la manina che spinse la proposta di legge con cui è fu introdotta la possibilità di continuare ad accumulare la “pensione” anche in caso di dimissioni o arresto.
A firmare quel testo – come rivelò LaC News24 - fu il presidente dell’Assemblea, che il 26 aprile depositò presso la sua segreteria la proposta di legge numero 5, poi portata in aula e approvata all’unanimità esattamente un mese dopo, il 27 maggio.

 

A votare sì, dunque, fu anche l’opposizione, allora ancora guidata da Pippo Callipo, che poi avrebbe detto di essere stato ingannato («Mi sono fidato, ho firmato senza leggere»).
Lo scandalo sollevato dalla legge fu enorme, con un‘eco nazionale che, per la prima volta in questo 2020 ai confini della realtà, accese in maniera impietosa i riflettori dell'intera stampa italiana sulla Calabria. Il Consiglio fu così costretto a una clamorosa marcia indietro e appena una settimana dopo il varo, la legge salva-vitalizi venne abrogata dagli stessi che l’avevano approvata.
Tallini cercò invano di allontanare da sé la vergogna di quanto accaduto, arrivando ad accusare la nostra testata e la collega che aveva firmato il pezzo, Alessia Candito, di averlo costretto a “chiedere la scorta”.