Uno dei cartelli issati dai manifestanti, giorni fa a Crotone, è il riassunto perfetto dei motivi della protesta degli agricoltori. L’esempio serve a comprendere le ragioni profonde di un malcontento che attraversa il Paese e raggiungerà Roma nei prossimi giorni: per 100 kg di grano, dai quali si ricavano 90 kg di farina, gli agricoltori incassano appena 30 euro. Ma con quella farina si producono 108 kg di pane dai quali i rivenditori ricavano 380 euro. È la globalizzazione, signori: sudore che soccombe alla pubblicità, lavoro manuale sconfitto dal packaging.

Ancor prima delle prese di posizione contro la carne sintetica o le farine a base di insetti, il problema è il salario. Lasciamolo dire a un contadino particolare, l’ex leader sessantottino Mario Capanna che da tempo si è ritirato in campagna e sale quasi ogni giorno sul suo trattore: «I contadini sono esausti di vendere i propri prodotti a una miseria e di rivederli sui banconi dei supermercati a prezzi otto, nove, dieci volte più alti. Da qui nasce la loro frustrazione, la loro collera. Si sentono espropriati di un valore che producono svegliandosi ogni mattina alle cinque e lavorando, soprattutto d’estate, per tutto il giorno. Mentre in parecchi guadagnano un mucchio di soldi infiocchettando i loro prodotti con l’etichetta bio». Con quella rabbia c’entra anche il prezzo del diesel agricolo – lo abbiamo sentito ripetere più volte ai microfoni di LaC nella nostra diretta dalla manifestazione in corso allo svincolo di Pizzo – ma il cuore della protesta sono guadagni insufficienti contro spese eccessive per la produzione. Categorie novecentesche con le quali si devono fare i conti anche nell’epoca digitale.

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La Lega prova a intestarsi la protesta al Nord, in Calabria niente bandiere di partito

Nei luoghi calabresi della protesta non si sono viste bandiere: niente associazioni di categoria (Coldiretti e Confagricoltura sono state spesso criticate dei manifestanti per le loro posizioni filogovernative) e niente partiti. Il blocco dei trattori è, soprattutto al Sud, un movimento di base. Nel Nord del Paese la Lega è riuscita a strappare qualche scatto a favore di fotocamera. Dietro c’è un calcolo politico e il tentativo di recuperare consensi in vista delle Europee: assieme alle associazioni di categoria è finito nel mirino degli agricoltori anche il ministro Francesco Lollobrigida, considerato molto vicino a Coldiretti. Il Carroccio scende in piazza per intestarsi parte della protesta, recuperare consensi su Fratelli d’Italia e limitare la probabile debacle elettorale.

Schema che non può essere replicato in Calabria: qui la Lega è assai più vicina a Coldiretti di quanto non lo siano i meloniani. Pietro Molinaro, consigliere regionale del Carroccio, ha guidato per anni in Calabria l’associazione governata da Ettore Prandini e conserva ottimi rapporti con i suoi vertici regionali. Difficile, insomma, che si possa vedere un consigliere regionale in marcia assieme ai manifestanti.

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Niente simboli di partito davanti alle rotonde e agli svincoli calabresi: soltanto fasce tricolore. È successo sia a Pizzo che a Crotone, con i primi cittadini schierati accanto ai trattori e pronti a raccogliere le ragioni della protesta.
La presenza istituzionale non è sorda agli appelli dei coltivatori. Pasquale Torcasio, lametino, ai microfoni di LaC ha portato la sua storia difficile: finito su una sedia a rotelle dopo un brutto incidente, oggi sente il peso di non poter trattenere i suoi figli in Calabria per consentire loro di continuare il suo lavoro. «Non so cosa rispondergli – spiega –, credo che saranno costretti a lasciare questa regione». Anche chi ha già avviato il progetto di un’impresa agricola pensa di mollare tutto: «Più che contadini siamo diventati burocrati, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen dovrebbe andare a casa».

La galassia dietro la protesta: tra ex forconi, no-vax e rossobruni

L’obiettivo delle critiche è l’Europa, ma anche per Meloni non ci sono carezze: attorno al movimento si muove una destra più a destra di quella al governo del Paese.
Ci sono i forzanovisti che denunciano gli stipendi milionari dei dirigenti (ancora) della Coldiretti. I rossobruni Gianni Alemanno e Marco Rizzo e il loro patto tra opposti estremismi contro un governo prono all’Unione europea. E hanno ripreso vigore i gruppi Telegram dei no-vax che se la prendono soprattutto con Francesco Lollobrigida per il suo doppio registro: bene per il no alla carne sintetica, male per l’aumento delle tasse agli agricoltori.

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Nel magma del movimento spuntano molti ex. Il più in vista è Danilo Calvani, piccolo imprenditore di Pontinia, in provincia di Latina e leader del Comitato agricoltori traditi. Nel 2009 fondò la Lega nel Lazio, poi creò il Coordinamento 9 dicembre, che aderì alle proteste dei Forconi. All’epoca il gruppo arrivò a minacciare persino una “marcia su Roma”, tanto per non lasciare dubbi sulle sue simpatie politiche. Sembrava l’inizio di una carriera politica, poi arrivò un articolo di Vanity Fair: il servizio raccontava come Calvani si spostasse da un comizio all’altro con la Jaguar di un «amico camionista» sotto fermo amministrativo. Ora il grande ritorno come leader delle proteste degli agricoltori contro «le grandi confederazioni agricole».

Nel suo passaggio tra Castrovillari e Crotone – passando per una riunione organizzativa a Lamezia Terme – l’ex “forcone” ha ribadito l’importanza della protesta tra il Pollino e lo Stretto e annunciato la marcia dei trattori alla volta della Capitale. Presenza simbolica per raccontare la centralità della Calabria nel quadro nazionale della mobilitazione.
In Sicilia, invece, di Calvani non ne vogliono sapere: gli agricoltori di Ragusa hanno chiarito che non ci sono leader. «Ci teniamo a precisare che non riconosciamo assolutamente alcun leader né nazionale né regionale. La nostra agricoltura – hanno spiegato nei giorni scorsi – è una cosa troppo seria che ha bisogno di tutto tranne che di generali e strumentalizzazioni. Dopo giorni di manifestazioni ci coordiniamo da soli». La trasferta dei trattori a Roma chiarirà molti aspetti: a pochi passi dai centri di potere anche i movimenti di base subiscono mutazioni politiche.