«Devi smetterla di rovinare ragazzini, hai capito? La tua roba te la metti nel culo, hai capito? Hai capito?». La donna cosentina che il 24 aprile del 2020 contatta Ibrehim Yakubu lo ripete più volte con tono alterato. Già da tempo ha il sospetto che i suoi figli, entrambi quindicenni, consumino stupefacenti. E quando da un controllo dei loro telefonini, salta fuori un nome africano che hanno in rubrica, le basta fare uno più uno. I ragazzini negano, ma ormai ne è certa: è lui il loro spacciatore di fiducia. Così decide di affrontarlo di petto.

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In quel periodo l’utenza di Yakubu è intercettata dai carabinieri della Compagnia di Cosenza che indagano sui traffici di droga gestiti da extracomunitari intorno all’autostazione. E quel 24 aprile, dunque, agli atti finisce pure il suo monologo memorabile e disperato. «Hai capito?» ribadisce la donna.

«Delinquente! Delinquente! Sei solo un delinquente. Io sono la mamma di uno di quei ragazzini a cui vendi la tua roba, la tua sporca roba. E ti denuncio! Ora ti metto dietro degli investigatori. Perché ora ti ho scoperto! Guarda che hai i giorni contati, finisci in galera. Hai capito? Tutti quei ragazzini che rovini! Ti denuncio! Ti denuncio! Finirai male, finirai malissimo. Devi stare in gattabuia fino alla fine dei tuoi giorni. Delinquente!». La sua invettiva travolge l’interlocutore che, non a caso, rimane in silenzio per tutto il tempo.

In seguito, la mamma sarà convocata dai carabinieri e, sentita a sommarie informazioni, confermerà l’accaduto. Ai militari spiegherà di non aver dato seguito alla minaccia di denunciare il pusher «perché me n’è mancato il coraggio». La sua deposizione si conclude poi con un appello accorato agli uomini in divisa: «Sono disperata, vi prego: aiutate i miei figli a uscire dalla dipendenza della droga e arrestate i rovinafamiglie che gliela vendono». Almeno in parte, sarà accontentata.