La storia dell’invaso di Siderno Superiore cominciò nel 1983. Dieci anni dopo venne riempito ma non c’erano condutture né collegamenti con le reti d’irrigazione. Restò così, come un bel lago, fino al 2013, quando una frana rivelò i limiti del progetto iniziale. Ora servirebbero altre decine di milioni di euro per recuperarlo
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Più che una diga, un pozzo. Un pozzo a cui non sono bastati né i fondi (circa 70 miliardi) stanziati negli anni ’80 dalla Cassa per il Mezzogiorno per la sua costruzione, né quelli già approvati dal Cipe nel 2022 (un po’ più di 9 milioni di euro) per il ritorno in esercizio e che ora, dopo un ping pong infinito con il Ministero, si ritrova con un progetto modificato e in cerca di approvazione che, nell’ultimo anno, è lievitato fino a 17 milioni di euro, buona parte dei quali, ancora senza copertura finanziaria. La surreale vicenda della diga sul torrente Lordo resta (in attesa di quello che succederà per il ponte sullo Stretto) lo specchio amaro di tante altre opere pubbliche calabresi: cantieri infiniti, aumento esponenziale dei costi, scarsissima funzionalità dell’opera stessa.
Operativo per meno di dieci anni, la storia dell’invaso artificiale costruito ai piedi di Siderno Superiore inizia nel 1983, quando il grande cantiere messo in piedi dal consorzio Felovi, costituito dalle aziende Ferrocemento, Lodigiani e Vianini, inizia a costruire la barriera che taglia in due la valle e che consentirà, a lavori ultimati, l’accumulo di circa 9 milioni di metri cubi d’acqua dolce. Serviranno dieci anni di lavori prima di vedere l’acqua iniziare a riempire la diga. E altri dieci, tra collaudi e prove, ne serviranno prima di poter inaugurare la struttura. Almeno formalmente, visto che delle opere previste dal progetto originale – i costi intanto sono lievitati fino a 70 miliardi – di operativo c’è solo l’invaso. Nessuna traccia dei collegamenti con le reti irrigue che dovrebbero rifornire tutti i paesi a forte tradizione agricola della zona, nessuna potabilizzazione delle acque a sostegno di un territorio perennemente alle prese con problemi di erogazione, nonostante la presenza di un impianto costruito ad hoc da Sorical che non è mai entrato in funzione a causa del fatto che nessuno lo ha mai collegato con la diga che gli sta a monte.
Di proprietà della Regione e gestita dal Consorzio Alto Jonio reggino, la diga sul Lordo, limitandosi per i pochi anni in cui è rimasta operativa a servire solo i fabbisogni agricoli di Siderno, di fatto era diventata una piccola, costosissima (e molto suggestiva) oasi naturalistica a due passi dal paese più popoloso del comprensorio. Ma anche il paradiso di amanti del jogging e della mountain bike è destinato a durare poco. Nel 2013 infatti gli ingegneri del Consorzio si accorgono, nel pozzo che conduce alla camera di manovra dove sono installati i controlli della diga stessa, della presenza di alcune crepe. Le prime ipotesi di un danno superficiale sono presto messe da parte e, poco meno di un anno dopo, la portata della diga viene ridotta al 70% della sua capacità massima, consentendo ai tecnici di rendersi conto che il problema è decisamente più serio: le crepe nella struttura in cemento armato da cui si manovra il deflusso dell’acqua sono frutto di un movimento franoso che interessa uno dei costoni della collina. Un problema strutturale decisamente serio di cui nessuno, durante l’infinita operatività del cantiere e la sua successiva fase di collaudo, si era mai incredibilmente reso conto. Un problema che, in attesa di soluzioni, portò all’inevitabile decisione di svuotare completamente la diga che da allora è rimasta come un grosso buco arido nel cuore della Locride.
Il nuovo progetto
Nel corso del 2022 però, la notizia dell’approvazione da parte del Cipe di un finanziamento di quasi 10 milioni di euro aveva riacceso le speranze, tanto che, secondo le prime rosee aspettative l’impianto avrebbe potuto tornare in esercizio già dal 2026. Peccato che in mezzo ci si siano infilati i tecnici del Ministero delle infrastrutture che, nel corso dell’ultimo anno, dopo averne verificato la fattibilità, hanno richiesto quattro diverse modifiche al progetto definitivo già presentato. Il danno è infatti così grave che gli interventi di consolidamento del costone preda del movimento franoso e di ricostruzione del pozzo con la camera di manovra costeranno 7 milioni in più di quello previsto e già finanziate. «Siamo in attesa del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici che è previsto tra pochi giorni – dice il presidente del Consorzio di Caulonia Pasquale Brizzi – Se come ci auguriamo arriverà l’ok contiamo di puntare su un appalto concorso da realizzarsi direttamente sul progetto definitivo, bypassando così la fase del progetto esecutivo e procedere con i primi lavori già finanziati». E pazienza se il resto dei fondi è ancora privo di copertura finanziaria. «L’importante è ripartire, abbiamo investito del problema anche la Regione per il reperimento delle somme che mancano. Ma io sono ottimista, visti i finanziamenti che l’Europa ha messo in campo per risolvere i problemi legati alla siccità, non dovrebbero esserci troppe complicazioni».
In attesa del via libera da Roma e dello sperato reperimento degli ulteriori sette milioni di euro che servono per riempire nuovamente la diga (grazie ad una condotta sotterranea lunga 9 chilometri che la alimenta con le acque del Torbido), fuori dal piatto restano, ancora una volta, i progetti di collegamento dell’invaso con il resto dei territori agricoli della zona, che non rientrano nell’appalto. Così come al palo restano i sogni di rifornire di acqua potabile la popolazione del territorio, visto che nel frattempo, l’impianto di potabilizzazione costruito da Sorical e mai entrato in funzione è stato saccheggiato e vandalizzato più volte, rendendolo l’ennesima scatola vuota planata sul territorio a valle di una gigantesca e costosissima, piscina vuota.