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«Berlinguer mi disse: “Moro per noi è morto”». Il generale Antonio Federico Cornacchia svela anche alcuni retroscena alla commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Dopo aver rivelato che la ‘ndrangheta stava cercando lo statista Dc, il generale spiega come ad un certo punto ci fu un cambio di rotta nella gestione della faccenda. Su precisa domanda dei membri della commissione, Cornacchia rammenta che il cambiamento avviene nel momento in cui c’è la sensazione che Moro stia collaborando o comunque parlando con i brigatisti. «Quando Moro ha insistito con quelle cinque lettere – spiega Cornacchia – per poi scrivere anche la lettera al Papa Paolo VI, lettera che poi… Sembra, anzi, senza sembra, io so che il Papa ha fatto pervenire questa lettera per avere un supporto dal presidente del Consiglio, Andreotti. La risposta fu negativa».
La certezza del generale: sapevo che Moro sarebbe morto. Cornacchia ha pochi dubbi: «Dalla seconda lettera capii che Moro non sarebbe uscito vivo». Perché? Chiedono con insistenza dalla commissione e il generale racconta un interessante retroscena: «Glielo dico subito. Parlo di quello che ho fatto io personalmente; quello che hanno fatto i miei colleghi alle volte mi sfugge: mi riferivano gli esiti e i risultati, perché Cossiga chiamava me, il mio comandante generale chiamava me. Il responsabile ero io del reparto, quindi io ho dovuto ragguagliare. Io mi chiamo Antonio, ma l'ubiquità è molto lontana. Presidente, andai prima alle Botteghe Oscure. Andai direttamente dall’onorevole Berlinguer». Tutto ciò avviene dopo la seconda lettera. Cornacchia si rivolge al leader comunista e dice: «Ai fini di polizia giudiziaria noi dobbiamo arrivare a chi ha commesso... noi dobbiamo arrestare il responsabile del sequestro eccetera». Berlinguer, racconta Cornacchia, «fu molto telegrafico, e non mi aspettavo quella risposta. Infatti, ci rimasi male e lui se ne accorse; disse: “Moro per noi è morto”. Forse intendeva dal punto di vista politico. D'altra parte, non fa una piega, però, detta così... Io ci rimasi male, tant'è che raccontai anche il mio stato d'animo particolare. Sa, io Moro lo incontravo quasi ogni settimana. Ha subito due tentati furti a via Savoia, allo studio suo, e Leonardi chiamava me, cioè chiamava il nucleo, però ci andavo io. Per questi motivi io incontravo l'onorevole Moro. Dissi: com'è possibile? Scesi e c'era la mia macchina. Dissi all'autista: “Senti un po’, vai in piazza del Gesù, davanti alla Democrazia Cristiana”. “S’accomodi”. “No, tu vai a fare il giro. Io ho bisogno di camminare” e, diciamo così, liberarmi da quel particolare stato d'animo di quella risposta che mi diede Berlinguer. Salii, incontrai prima un funzionario... Incontrai l'onorevole Piccoli, simpaticissima persona. Dissi: “Onorevole, a Trento che cosa si fa?”, una battuta così, tanto per entrare. Dissi: «A proposito di questa lettera…». La risposta fu analoga a quella del segretario del Partito Comunista, anzi fu più pesante. Piccoli disse: “Se dovesse ritornare, per noi sono dolori”. Risposi: “Come, dolori?” Disse: “Sa, perché noi politicamente ormai abbiamo perso il nostro presidente”. Quindi, incominciò quella cosa che... Lui lo vidi molto provato, un uomo molto provato, però questa... Dissi: “Lei mi demotiva, adesso. Allora è inutile lavorare. Noi ci dobbiamo aspettare la fine tragica, drammatica di quest'uomo”, a cui io ero particolarmente legato, perché i Carabinieri che hanno ammazzato dipendevano da me. Poi, Moro era un mio corregionale, perché io sono pugliese. Tutto qui».
La trattativa segreta del Vaticano. I membri della commissione fanno poi notare al generale come, nel suo libro, egli rievochi una scena svoltasi in sua presenza nella villa pontificia di Castel Gandolfo. «“Alle sette e trenta della sera del 6 maggio, nella sede estiva pontificia di Castel Gandolfo, dove arrivo con don Curioni, vedo il segretario del Papa rispondere al telefono, convinto forse, sia il segnale per la conclusione delle trattative e della consegna del cofanetto pieno di soldi. Ma quando depone la cornetta, pallido in volto, ci informa che “Tutto è andato a monte”. Quindi, lei era a conoscenza della trattativa! Lo scrive lei a pagina 322», dice il presidente Fioroni. Cornacchia conferma e spiega di essere stato in contatto con don Curioni (conosciuto nelle carceri) e padre Enrico Zucca (famoso perché nascose il cadavere di Mussolini nel 1946 e si fece 42 giorni di reclusione). Proprio quest’ultimo riesce a racimolare, racconta Cornacchia, «50 milioni di sua iniziativa, però lui doveva avere il nulla osta dal presidente del Consiglio dei ministri per poter agire». I commissari sono perplessi: «I brigatisti non ci davano neanche una polaroid di Moro per 50 milioni», rispondono. E Cornacchia spiega che sì, quel prete aveva messo insieme 50 milioni, ma il Papa 10 miliardi di lire. Il generale afferma anche di aver visto i 10 miliardi, sebbene non li abbia contati. Erano in un cofanetto, fascettati e pronti per la consegna. Ma anche quella trattativa salta, nonostante di mezzo ci sia il Santo Padre. Infatti, don Macchi torna e spiega: «Monsignore, non possiamo far nulla. Ci hanno bloccato». (continua)
Consolato Minniti