VIDEO | Le testimonianze di chi è originario proprio dell’area in conflitto del Donbass dove operano i separatisti. Ecco le loro considerazioni sul conflitto e sulla crisi internazionale in atto
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«Ho lasciato il Donbass nel 2014 perché nella mia città, Lugansk, c’era la guerra tra la popolazione del luogo sostenuta dalla Russia, composta dai cosiddetti separatisti, e l’esercito ucraino che ci bombardava. Una guerra che ancora non è finita. Ad essere contestata dall'Ucraina con le armi è stata, ed è ancora oggi, la nostra indipendenza. Così non siamo né ucraini né russi. Ci sentiamo, però, russi da sempre anche da prima del referendum», racconta una cittadina dell'Ucraina orientale, da anni residente in Calabria.
La verità sul conflitto da chi viene dal confine russo
«Il conflitto ha già causato morti e sofferenze ma quello che è necessario chiarire, alla luce delle informazioni che sentiamo circolare qui in Italia e in Occidente, che non è Putin a voler invadere l’Ucraina, perché la Russia è già grande e non ha mire espansionistiche. La Russia vuole soltanto che siano protetti quei confini oggi minacciati dalla vicinanza dei missili Nato. Quella di Putin, al quale dobbiamo la ricostruzione dei nostri luoghi dopo la distruzione causata dai bombardamenti dell’esercito ucraino nel 2014 dopo il referendum, è solo una manovra difensiva. Invece la propaganda del governo ucraino diffonde notizie non rispondenti alla verità quando dice che è Putin ad attaccare. La Russia ci sta fornendo cibo e armi e ci ha consentito di restare in vita dopo la reazione militare ucraina del 2014. Troppe cose non vengono raccontate per come veramente sono accadute», racconta ancora la donna proveniente dal Donbass.
Secondo la testimonianza di chi in quella zona è nata e ha vissuto fino allo scoppio della guerra, ecco cosa accade nel Donbass, zona dell’Ucraina orientale al confine con la Russia, dove dal 2014 è in atto un conflitto seguito al referendum con cui le repubbliche popolari di Doneck e Lugansk si sono unilateralmente proclamate autonome e indipendenti dall’Ucraina, sul cui territorio orientale però insistono. Sulla scia di quanto stava già avvenendo in Crimea, il referendum ha reso tali repubbliche degli Stati riconosciuti solo dalla Russia, con tensioni degenerate fino al conflitto armato. Il governo ucraino, contrario all'indipendenza e all'influenza russa su suoi territori, dunque. bombarda e distrugge, e il governo russo, l’unico a riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche, arma le milizie del Donbass affinché possano difendersi. Intanto la popolazione civile muore oppure conosce stenti e difficoltà.
Il ricordo di Iuliia
«Comincia così una guerra nel cuore dell’Europa – ricorda la giovane ucraina del Donbass, Iuliia Avdiugina – che ancora oggi non si è placata: 10mila vittime, 2 milioni di sfollati soltanto nel 2014. Per risolvere, i leader mondiali si sono seduti ad un tavolo e hanno sottoscritto l’accordo di pace a Minsk. Ma la violenza nell’Ucraina orientale è continuata. Nel 2016 sono aumentate le vittime e nel 2017 i combattimenti si sono intensificati. Se n’è parlato per qualche tempo. Poi la notizia è passata in secondo piano fino a scomparire completamente. La tragedia più grande di questo conflitto è la dimenticanza generale», ricorda ancora la giovane ucraina del Donbass, Iuliia Avdiugina.
Il 5 settembre di quello stesso anno, infatti, il Gruppo di Contatto Trilaterale sull'Ucraina, composto dai rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck (Dnr), e Repubblica Popolare di Lugansk (Lnr), sottoscritto a Minsk, sotto l'egida della Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), il protocollo, che prevedeva l’immediato cessate il fuoco e lo stop all’avanzata delle basi Nato, ha solo apparentemente posto fine alle ostilità. Intanto il presidente ucraino Volodymyr Zelens'kyj è subentrato nel 2019 a Petro Oleksijovyc Porosenko.
Le due anime dell'Ucraina
«Kiev non ha accettato la nostra indipendenza. Non ha accettato di perdere le risorse minerarie di cui il Donbass, con le sue miniere e cave, è ricco. Quindi è iniziata questa guerra tra noi, chiamati dagli altri ucraini separatisti filorussi, e l’esercito ucraino che ancora oggi non si è conclusa. Ancora oggi si rischia la vita e la situazione non si è risolta. Noi non ci aspettavamo la riposta armata dell’Ucraina alla nostra rivendicazione di indipendenza, anche perché noi siamo sempre stati russi, come se l’Ucraina fosse divisa tra due popoli diversi che però il governo ucraino vuole costringere a stare insieme. La nostra cultura e la nostra lingua sono russe anche se dal 1991 non c’è più l’Unione sovietica, questa nostra identità non è cambiata e adesso non possiamo accettare che ci venga imposta la lingua ucraina e di essere maltrattati perché abbiamo osato sfidare il governo per affermare la nostra libertà e la nostra indipendenza», raccontano altre donne della comunità ucraina calabrese provenienti da zone vicine al confine russo.
I due livelli di conflitto
Un conflitto non recente, dunque, che ha già spezzato vite e causato sofferenze, anche se, in queste ultime settimane, qualcosa di nuovo sta accadendo. C’è infatti prospettiva di allargamento della Nato con l’ingresso dell’Ucraina, alla base dell’attuale crisi e del rischio di una guerra mondiale sul quale l'attenzione resta massima e rispetto al quale si registrano, proprio in queste ore, versioni contrastanti, con segnali di distensione da parte della Russia con successive smentite da parte degli Usa.
«Ora il conflitto è più tra Ucraina e Russia che tra Ucraina e Donbass perché l’Ucraina vuole entrare nella Nato. Un ingresso che lascerebbe presagire anche l'intento di far tornare della Crimea all’Ucraina, scatenando un conflitto che coinvolgerebbe tutta l’Europa. Un ingresso rispetto al quale contrario è il presidente Putin che non vuole i missili Nato sotto casa. Dunque in questo senso lo scenario si è complicato ed aggravato, spostando il livello di scontro da Donbass filorusso e Ucraina a Russia e Ucraina, Nato ed Europa», spiega ancora la giovane donna ucraina proveniente dal Donbass, delineando così una dimensione di un conflitto ibrido che, per quanto al momento tenuto sotto controllo, costituisce un microcosmo pronto da un momento all'altro a veder deflagrare tensioni evidentemente tutt'altro che sopite tra l'Occidente e Federazione Russa.
Ucraina vecchia e Ucraina nuova
Un paese diviso tra chi è incline ad un ingresso in Europa, intento dell’Ucraina benvisto dalla Nato e dagli Stati Uniti, e chi rivendica invece le radici russe e sente minacciata la propria libertà dall’attuale politica del governo ucraino.
«Io ricordo ancora quando, dopo aver imparato il russo fin da bambina e aver frequentato tutte le scuole, conseguito diplomi e studiato tutte materie sempre in russo, un giorno all’università venne il rettore a dirci che avremmo dovuto smettere di parlare in russo per parlare in ucraino. Non siamo computer in cui si cambia un programma. La nostra identità e la nostra storia non possono essere calpestate in questo modo. Il nostro paese ha sempre avuto due anime che hanno sempre convissuto. Ma questa era l’Ucraina vecchia. L’Ucraina oggi è molto diversa e dunque la parte Orientale non si riconosce nell’Ucraina nuova dalla quale addirittura è additata e discriminata. Non è concepibile che si possa essere multati se si parli in russo piuttosto che in ucraino. Vorrei che in Ucraina si fosse tutti liberi di essere ciò che si vuole e anche di restare amici come lo siamo stati in passato. Invece il governo ucraino viola le nostre personalità, imponendoci comportamenti che noi con condividiamo», racconta un’altra donna dell'Ucraina Orientale.
Ma non tutti gli ucraini la pensano allo stesso modo. Basta allontanarsi dal confine russo per dirigersi sul versante occidentale e, dunque, verso il confine europeo per sentire idee diverse. «La nostra indipendenza è giovane – spiega un’altra donna dell’Ucraina Occidentale – e per nutrirla e mantenerla abbiamo bisogno di alleanze e di aiuto. L’Europa è per noi il viatico per il futuro e il benessere. Se fosse stata la Russia il nostro riferimento, l’Unione Sovietica non si sarebbe frantumata come invece è avvenuto».
Si convive con il rischio della guerra
Un allarme, quello lanciato in queste ultime settimane, che la comunità ucraina orientale calabrese giudica ingigantito dai media Occidentali e che in loco si vive con relativa tranquillità, complice il fatto che il conflitto, iniziato dentro le città adesso spostatosi fuori, e le tensioni in quella zona orientale dell’Ucraina sono presenti già dal 2014.
«I miei genitori vivono nel Donbass e anche molti miei amici. Li sento spesso per chiedere come stiano e che situazione stiano vivendo. Da un mese circa hanno documenti e piccola valigia pronti, nel caso dovessero fuggire. Fuggire dove per altro. In caso di guerra, dove mai potrebbero andare? Sentono annunci ma poi nulla accade, in un contesto di violenze e tensioni che si protraggono da anni. Non possono certo smettere di vivere ma vanno avanti. Seppure pronti all’evenienze più drammatiche, stanno continuando a vivere come prima di queste settimane. Noi siamo preoccupati, ma non da ora. Si tratta di un rischio di cui parlano tanto. Ciò genera spavento ma finora, fortunatamente nulla è accaduto», racconta un’altra cittadina ucraina originaria del Donbass, residente adesso in Calabria.
«Mio fratello è vigile del fuoco e sta lavorando nella sua città. Qualora ci fosse il rischio di cui sentiamo parlare, sarebbe stato inviato nel Donbass, come avvenuto nel 2015. In questo momento tutto appare sotto controllo, come mi riferiscono i miei genitori che abitano in Ucraina. Anche se in quella zona sappiamo esserci delle tensioni, adesso non stanno sparando né uccidendo come avvenuto in passato. Secondo me l’informazione sta esagerando. Anche altri parenti, che vivono proprio nel Donbass, dicono che tutto è tranquillo», racconta una donna ucraina che però si sente russa. «Anche se sono cittadina ucraina, la mia prima lingua è il russo. Se non ci fossimo staccati, con la fine dell’Unione Sovietica, io non avrei avuto bisogno di emigrare in Italia per lavorare, guadagnare uno stipendio dignitoso e migliorare la mia condizione economica».
«I miei parenti, che vivono a trenta chilometri dal confine russo, mi dicono che la situazione pare tranquilla. Ritengo che sia l’informazione di questo frangente a creare un allarme eccessivo», racconta un'altra donna ucraina.
In Russia, intanto, c’è chi pensa che questa guerra sia solo paventata.
«Sono certa che il popolo russo non voglia la guerra. Sono altrettanto certa che il governo russo neppure voglia la guerra e che invece cerchi un diversivo per deviare l’attenzione dai problemi reali del paese, creando nemici esterni. Purtroppo in Russia non ci sono i diritti essenziali per tutta la cittadinanza ed esistono disuguaglianze e corruzione dilaganti. Io vivo in Europa da tanto ormai e so che qui non si vuole entrare in guerra con la Russia ma si vogliono mantenere pace e amicizia», racconta una cittadina russa.
Il rischio e la speranza
Il rischio di una guerra, però, esiste perché l’indipendenza scelta dal Donbass verrà, in caso di avanzamento della Nato, difesa militarmente dalla Russia. Resta la speranza di una soluzione diplomatica che tutti, pur restando nelle loro posizioni, sembrano auspicare.
«Il rischio c’è sempre stato. C'è tanta pressione e c'è tanta tensione ma tutti speriamo di non arrivare alla terza guerra mondiale», concludono le donne dell'Ucraina orientale residenti in Calabria.