Il procuratore di Napoli, intervistato dal Secolo XIX, spiega perché è importante il pentimento dell’ex killer dei Bonavota. Gli affari della cosca in Liguria, Piemonte, Lombardia ed Emilia. E la scoperta di una “camera di compensazione” a Ventimiglia
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Una collaborazione importante quella di Francesco Fortuna, ex elemento di spicco del clan Bonavota di Sant’Onofrio. Dal vibonese fino alla Liguria e al Piemonte, la cosca dimostra di avere le mani in pasta nelle regioni settentrionali dove la sua principale attività è quella del riciclaggio. A certificarlo, nel corso di un’intervista al Secolo XIX, è il procuratore di Napoli Nicola Gratteri, magistrato calabrese che ha combattuto e studiato la ‘ndrangheta come procuratore aggiunto a Reggio Calabria prima, e poi come procuratore di capo di Catanzaro. «Francesco Fortuna è in primis l’uomo che ha coperto la latitanza di Pasquale Bonavota a Genova, dove la ’ndrangheta fa quello che ha iniziato fare molto tempo fa: reinveste i soldi del narcotraffico nella ristorazione, in alcuni alberghi, nell’edilizia, in varie attività. E lui aveva tanti soldi, era un personaggio forte nelle gerarchie mafiose», racconta Gratteri.
Il procuratore spiega che in Calabria ogni pentimento è un evento perché all’interno della ‘ndrangheta vigono leggi di arruolamento quasi militari: «È complicato essere arruolati, diventare organici al gruppo. Il processo si rivela molto più selettivo e vige una disciplina di tipo militare, un iter chiuso, è difficile che qualcuno tradisca. Ecco perché la svolta di cui stiamo parlando è rilevante».
La cosca dei Bonavota e gli interessi nelle regioni settentrionali
Fortuna poi, spiega Gratteri, apparteneva a una cosca storica di tipo tradizionale, dedita a narcotraffico e reinvestimento dei capitali in aziende all’apparenza pulite ma la cui vera caratura è venuta fuori con l’inchiesta Rinascita Scott: «Quel fascicolo ha permesso di capire che i Bonavota, famiglia comunque storica cui Fortuna era legato, e per un po’ ritenuti satellitari dei Mancuso, nella realtà erano molto di più. Si elevavano rispetto a tante altre ’ndrine, del Vibonese e non solo».
Il radicamento della cosca con la Liguria è considerato solido, e non è un caso che il boss Pasquale Bonavota sia stato «arrestato a Genova, la città dove viveva anche sua moglie, e Francesco Fortuna era spesso lì per organizzare tutto. Significa qualcosa», dice Gratteri. D’altronde la Liguria ha un passato lontano riguardo alle infiltrazioni mafiose: è qui che è stata certificata la presenza del primo locale di ‘ndrangheta lontano dalla Calabria e «sempre lì – asserisce il magistrato di Gerace – si sono consolidate le attività poi esportate pure in Piemonte, Lombardia, Emilia, il riciclaggio continuo dei soldi incamerati con la cocaina».
La “camera di compensazione” a Ventimiglia
Ma non solo. Perché a Ventimiglia, comune ligure al confine con la Francia, è stata «conclamata la presenza d’una “camera di compensazione”, struttura cui tutti gli affiliati che attraversano il confine rendicontano il proprio operato criminale nel sud della Francia. Eppure, la medesima Liguria è stata l'ultima regione del Nord dove s’è registrata una sentenza definitiva di condanna per associazione a delinquere di stampo ’ndranghetistico».