«Abbiamo sperato fino all'ultimo che la guerra non si estendesse. Abbiamo sempre rivendicato soltanto la libertà di poter esprimere la nostra volontà di restare russi, nonostante lo scioglimento dell'Unione Sovietica. Invece il governo Ucraino, da Poroshenko a Zelensky, ha sempre voluto, anche con la forza, tenerci insieme». Questa è la testimonianza di Iuliia, giovane studentessa che ha lasciato, proprio nell’estate del 2014, la sua città di Lugansk sotto le bombe del governo ucraino che «non aveva riconosciuto l'indipendenza – racconta - e che così aveva risposto alla nostra scelta di non essere da esso amministrata». La città di Lugansk è il capoluogo dell'omonimo distretto ma de facto capitale dell'autoproclamata omonima Repubblica Popolare, insistente nella regione del Donbass, in Ucraina orientale al confine con la Russia. Regione, quest'ultima, storicamente estesa fino alle città minerarie più occidentali di Rostov in Russia.

Il ritorno mancato

Con la viva speranza che gli attacchi potessero finire e che fosse possibile tornare per l’inizio della scuola a Lugansk, nell'estate del 2014 Iuliia aveva lasciato i suoi nonni per raggiungere sua madre che già viveva a Reggio Calabria e con la quale poi, invece, è rimasta. Quel ritorno a casa dopo pochi mesi non fu possibile perché la sua città continuò ad essere bombardata. Da allora i suoi nonni sono diventati i suoi occhi su Lugansk dove oggi, contrariamente al resto del Donbass sotto attacco russo da settimane per la resistenza ucraina in atto, la guerra iniziata nel 2014, e che negli ultimi tempi aveva allentato la morsa, è finita. «Adesso Lugansk, passata sotto l'ala russa, è stata liberata e posso finalmente iniziare a pensare che un giorno potrò tornare nel mio paese. La guerra nella città di Lugansk si era fermata già da qualche anno mentre continuava in altre città dell’omonimo distretto, dove anche adesso imperversa seminando morte e distruzione che anche la mia comunità ha conosciuto negli anni scorsi. I miei nonni mi dicono che lì la vita scorre normalmente. Le scuole sono aperte, tutti vanno al lavoro, ci sono acqua e cibo, insomma non ci sono problemi come un tempo», racconta ancora la giovane Iuliia.

In questa guerra in Ucraina che ha ormai superato i 100 giorni, mietendo migliaia di vittime anche civili, il Donbass - con attacchi russi nel Donetsk, a Severodonetsk e con Mariupol, dove i militari del battaglione Azov avevano scelto lo stabilimento siderurgico come base operativa, già caduta in mano russa qualche settimana fa - è divenuto zona di scontri intensi con una serrata offensiva russa in atto da settimane.

La Guerra e la Pace

Questa zona al confine, abitata da ucraini russofoni resta un obiettivo al quale governo russo punta con determinazione. Una zona dove questa guerra è iniziata otto anni fa e che rimane cruciale in questo conflitto. Così mentre la grande storia si consuma e consuma vite, c'è una piccola storia altrettanto levigata dal tempo e che schiude verità tanto contraddittorie quanto autentiche. La Guerra e la Pace, nella realtà di un Paese con anime diverse e non nelle pagine straordinarie di Lev Tolstoj.

«I miei nonni raccontano - riferisce la giovane Iuliia - di sentire le bombe lontane, non più addosso come un tempo, di avere sempre meno paura e di riuscire lentamente a intravedere un futuro di pace. In realtà, mentre tutta Europa era indifferente, nella regione del Donbass e nella città di Lugansk noi siamo stati a lungo sotto le bombe del governo ucraino, a partire dal 2014. Considerati separatisti filorussi, la risposta del governo ucraino al referendum con cui le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk si erano unilateralmente proclamate autonome e indipendenti dall’Ucraina, è stata armata e violenta. Noi, semplicemente, abbiamo sempre affermato di essere russi perchè tali ci sentiamo, nonostante il governo ucraino non lo accetti. Solo dal 24 febbraio 2022, da quando la Russia ha avviato la sua avanzata, dopo aver riconosciuto qualche giorno prima la nostra indipendenza, per noi è arrivata la pace. So che sembra stridente con quanto continua ad avvenire nel resto dell'Ucraina. Nessuno di noi ha mai voluto la guerra e siamo addolorati per la morte di persone innocenti. Un dramma che anche noi abbiamo conosciuto. Noi abbiamo sempre e solo voluto pace e libertà, nel rispetto della nostra identità, storia e cultura», sottolinea ancora Iuliia.

La complessità di ogni conflitto

È un racconto di speranza, quello della giovane studentessa, che rivela tutta la complessità della storia di ogni conflitto, in cui le ragioni sono frammentate e quasi mai da una parte sola. Una realtà quella della città di Lugansk, completamente sotto il controllo del governo russo e dove i carri armati di Kiev non sono più entrati; una zona franca rispetto alla guerra e russa rispetto alla storia.

Lo scorso 9 maggio è stata anche celebrata la festa della Vittoria che il governo russo festeggia per ricordare la sconfitta dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale (vedi foto). Una città che quasi non sembra trovarsi in quell'Ucraina distrutta da una guerra ancora in corso. Una identità russofona che questo conflitto non ha per nulla indebolito, come avvenuto in altre città inizialmente convintamente filorusse, che la Russia non ha distrutto, come invece ha fatto con Kharkiv, da giorni ancora sotto tiro delle bombe di Putin dopo la mancata conquista.

Dall'indipendenza dall'Ucraina all'ingresso nella Federazione Russa

«La nostra libertà e la nostra identità sono stati in un passato assai recente assaltate con violenza dal governo ucraino. Ora questa pressione è stata allentata. Sento i miei nonni più sereni e anche io posso concedermi di immaginare quel ritorno a casa che avevo sospeso. Sono partita nel 2014 con il desiderio di tornare e forse presto potrò finalmente farlo. Nella città di Lugansk è già in atto un lento ritorno alla normalità, che non sarà facile né immediato, ma che per noi non prescinde dalla vicinanza alla Russia. In queste settimane, mi riferiscono di una intenzione, assolutamente non ancora ufficiale, di indire presto un altro referendum per entrare a fare parte formalmente della Federazione Russa, dal momento che ci sentiamo russi e a loro dobbiamo questa pace lentamente ritrovata», conclude la giovane Iuliia.