L’intervista sul settimanale Io Donna alla figlia dell’appuntato Antonino Fava, ucciso insieme al collega Vincenzo Garofalo nel Reggino. Era il 18 gennaio del 1994. Oggi veste la stessa divisa del padre
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Da venticinque anni in attesa di verità e di giustizia. Aveva solo otto anni quando la ‘ndrangheta gli portò via il padre. E lo fece con i suoi metodi più barbari, senza tentennamenti. Oggi, veste la stessa divisa del padre, trovando nel suo lavoro nell'Arma e nella sua famiglia, la forza di progettare il futuro. Le parole della tenente Ivana Fava, figlia dell’appuntato Antonino Fava, ucciso insieme al collega Vincenzo Garofalo lungo la Salerno – Reggio Calabria sono state pubblicate in un’interessante intervista sulle pagine di “Io Donna”, rivista settimanale del Corriere della Sera.
La testimonianza: «Fu un vero agguato in stile mafioso»
Quello che avvenne in quella giornata d’inverno e di sangue: «Fu un vero agguato in stile mafioso. Mio padre e Garofalo – racconta - furono prima massacrati a colpi di mitra e poi “graziati” con gli ultimi proiettili sparati a distanza ravvicinata. Uno dei killer era addirittura minorenne». Il duplice omicidio s’inserisce nel patto mafia-‘ndrangheta per colpire lo Stato. Gli occhi della tendente Fava sono gli stessi dei familiari delle vittime di mafia. Un dolore mai urlato, dignitoso, divenuto parte della propria esistenza. Accomuna quanti, innocentemente e loro malgrado, sono stati “travolti” dalla criminalità. Mafia che non bussa alla porta ma entra nella vita dei singoli, spezza le vite e lascia vuoti incolmabili. Dopo anni di silenzi, indagini senza via d’uscita, porte chiuse in faccia grazie anche dichiarazioni del pentito Consolato Villani e del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza si è scoperto dell’esistenza di un unico filo conduttore che unisce diversi episodi delittuosi avvenuti all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Il processo ‘Ndrangheta stragista
Con il processo “Ndrangheta stragista” con alla sbarra il siciliano Giuseppe Graviano e il calabrese Rocco Filippone, accusati di essere i mandanti dell’omicidio dei due carabinieri, si cerca di dare risposte ad anni di interrogativi e dubbi. La parte più intima delle dichiarazioni, riguarda il perdono nei confronti dei killer: «Non spetta a me – commenta Ivana Fava - ma a Dio. Anche se abbiamo ricevuto lettere e dichiarazioni di perdono, abbiamo preferito tacere e pregare». g.d'a.
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