«Mi è stato semplicemente puntato un dito contro per fare di me un mostro e si sono attivati immediatamente. Non hanno invece creduto ai bambini quando dicevano altre cose. Hanno sempre tenuto in forte considerazione quello che diceva la mamma». Ci sono divorzi simili ad uragani. Passano e radono al suolo ciò che trovano. Portano via con sé serenità ed armonia, ma anche dignità e amore, verità e buon senso. Ci sono divorzi e separazioni che sacrificano sull’altare dell’egoismo anche i figli, messi in mezzo a vere e proprie strategie belliche, strattonati da una parte e dall’altra, strumentalizzati. Accade anche che questi vengano usati per far cadere su un genitore infamanti accuse di violenze ed essere così certi di metterlo all’angolo, fuori gioco.

 


E’ successo anche a Paolo, cinquantenne lametino, marito amorevole e padre esemplare dei suoi due piccoli prima che avvenisse la separazione. Una separazione consensuale che avrebbe dovuto lasciare molta libertà a Paolo nelle modalità per vedere i suoi figli. Ma ben presto l'ex moglie, che aveva intrapreso una nuova relazione, inizia a fare muro, creando un castello di scuse per non fare vedere al padre i bambini, arrivando addirittura a spostarli da un asilo all’altro per evitare gli incontri. La sua strategia diverrà chiara dopo: disgregare il più possibile il filo che unisce padre e figli per potere andare a vivere fuori regione con il nuovo compagno.


Ma in tribunale i richiami non tardano a farsi sentire. La donna non si sta attenendo a nulla di quanto disposto dal giudice. E’ qui allora che lei decide di giocarsi una carta che non può non creare scompiglio. Accusa l’ex marito di violenze fisiche sui bambini. A quel punto tutto si ferma. Paolo si ritrova in un incubo. In via cautelativa viene vietato qualunque tipo di rapporto con i figli se non alla presenza degli assistenti sociali.

 

Gli vengono fatti test di tutti di tipi, intervengono figure professionali di ogni genere sia su di lui, sia sui bambini. Bambini che durante gli incontri non dimostrano remore nei suoi confronti. Appena lo vedono gli gettano le braccia al collo, litigano per chi debba stargli in braccio, mentre Paolo cerca di rendere quei momenti il più calorosi e costruttivi possibili. Passano mesi prima che “la sceneggiata” venga sbugiardata. E nel frattempo qualcosa si incrina. Il figlio più grande non regge alle pressioni della madre, confessate anche dal più piccolo: «Mamma dice che sei cattivo». Diventa così vittima di alienazione parentale, un disturbo noto anche come Pas, che insorge generalmente proprio quando ci sono controversie per la custodia dei figli.

 

Secondo la definizione dello studioso Gardner la PAS sarebbe frutto di una supposta “programmazione” dei figli da parte di un genitore patologico, detto alienante, una sorta di lavaggio del cervello che porterebbe i figli a perdere il contatto con la realtà degli affetti, e a esibire astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l'altro genitore, detto alienato. Accade così un’altra drammatica rottura. Nonostante venga dimostrato che le accuse della madre sono inconsistenti, questa venga richiamata per non avere minimamente rispettato le disposizioni dei giudici e avere perso l’affidamento dei figli che vengono, invece, dati al papà, uno dei figli non vuole più vederlo o parlarci.

 

Paolo ha dalla sua la legge, potrebbe andarlo a prendere o farlo andare a prendere in modo coatto, ma l’amore che ha nei suoi confronti è più grande del desiderio di poterlo avere con sé e decide allora, per non causargli un altro trauma, di lasciarlo a vivere con la madre. I due fratelli oggi vivono separati, Paolo dopo avere ampiamente dimostrato quanto fallaci e infanganti fossero le accuse dell’ex moglie, spera di potere un giorno potere dare tutto il suo amore anche al suo primogenito.