Diciotto mesi di commissariamento poiché gli organi elettivi dell’ente e settori dell’apparato amministrativo sono risultati soggetti a condizionamenti e infiltrazioni mafiose. È  la sorte del Comune di Pizzo Calabro dopo l’arresto del sindaco Gianluca Callipo nell’operazione antimafia “Rinascita-Scott” ed il coinvolgimento nella stessa inchiesta anche dell’assessore Pasquale Marino, del capo della polizia municipale Enzo Caria e del capo dell’ufficio  Urbanistica del Comune, Maria Alfonsina Stuppia. La commissione straordinaria è composta dal prefetto a riposo Antonio Reppucci, dal viceprefetto Giuseppe Di Martino e dal funzionario economico finanziario Antonio Corvo. Gli organi elettivi del Comune di Pizzo erano stati rinnovati nelle consultazioni amministrative  dell’11 giugno 2017.

Analizziamo tutti i particolari che hanno portato il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, a chiedere ed ottenere dal Consiglio dei ministri lo scioglimento degli organi elettivi dell’ente per comprovate infiltrazioni mafiose. Il decreto di scioglimento è stato poi firmato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

L’operazione Rinascita-Scott

Per la prima volta nel Vibonese – e fra i pochissimi casi in Italia – la Prefettura di Vibo Valentia ed il ministero dell’Interno non hanno ritenuto necessario alcun accesso ispettivo al Comune di Pizzo con l’invio di un’apposita Commissione di accesso agli atti, in quanto la valenza dei riscontri investigativi e degli elementi fattuali in possesso delle forze dell’ordine, all’indomani dell’operazione “Rinascita-Scott”, sono stati ritenuti “così evidenti da rendere non necessario un accesso ispettivo”. Il prefetto di Vibo Valentia, Francesco Zito, ha quindi acquisito in una riunione tenuta la vigilia di Natale (24 dicembre scorso) il parere del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica – integrato con la partecipazione del procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri, e del procuratore di Vibo  Valentia Camillo Falvo – ed ha predisposto una relazione in cui si è dato atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi.

Le accuse verso Gianluca Callipo

A pesare è in primis il reato di concorso esterno in associazione mafiosa contestato al primo cittadino, Gianluca Callipo, ed al  comandante della polizia municipale Enzo Caria. In particolare al sindaco viene contestato di avere “concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi della ‘ndrina operante su Pizzo e facente capo a Salvatore Mazzotta, nonché a quella di San Gregorio d’Ippona facente capo ai Razionale-Gasparro.

La relazione firmata dal ministro dell’Interno ricorda quindi che lo stesso Gianluca Callipo è inoltre indagato per aver omesso – nella qualità di pubblico ufficiale – di compiere qualsiasi atto amministrativo che potesse dare effettiva e concreta esecuzione ad ordinanze emesse dagli uffici amministrativi del Comune di Pizzo.

 

Ci sarebbe stato, quindi, un “uso distorto della cosa pubblica” in favore di soggetti o imprese collegati direttamente o indirettamente ad ambienti malavitosi, con una “sostanziale continuità amministrativa” atteso che il sindaco Gianluca Callipo era al suo secondo mandato consecutivo e alcuni degli amministratori eletti nel 2017 hanno fatto parte, con cariche diverse, di precedenti consiliature. Grande rilievo viene dato nella relazione della Prefettura di Vibo Valentia e del ministro dell’Interno al fatto che la ‘ndrina, al cui vertice viene collocato Salvatore Mazzotta, sarebbe riuscita a controllare e influenzare «in modo sistematico per i propri illeciti interessi, molteplici esponenti politici e burocratici dell’amministrazione comunale di Pizzo, riuscendo ad incidere e a determinarne le azioni amministrative».

 

Sintomatica in tal senso viene ritenuta la vicenda dell’occupazione abusiva di alcuni box in piazza Mercato di proprietà comunale da parte di stretti parenti di Salvatore Mazzotta, utilizzati per l’esercizio di un’attività di rivendita di prodotti ittici. Nonostante un’ordinanza di sgombero dell’aprile 2013, nel novembre dello stesso anno i locali sono risultati nuovamente occupati da soggetti vicini a Mazzotta. Viene contestato agli amministratori di non aver provveduto al sequestro degli stessi locali, con condotte omissive che avrebbero permesso al sodalizio criminale guidato da Mazzotta di continuare a occupare illecitamente i suddetti beni, con la conseguente mancata acquisizione degli stessi nella disponibilità del Comune.

 

«Fonti tecniche di prova – rivelano prefetto e ministro dell’Interno – attestano come il primo cittadino ha incontrato il capo della locale organizzazione ‘ndranghetista, in quel periodo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, per discutere dei più volte citati locali». L’incontro sarebbe stato pianificato nel periodo in cui Gianluca Callipo era impegnato in campagna elettorale «in modo tale da sistemare, dietro la promessa di un sostegno elettorale, alcune questioni amministrative tra le quali, oltre a quella concernente i locali di piazza mercato, anche quella relativa a un’altra area con annessa piscina in uso a uno stretto parente» di Salvatore Mazzotta ritenuto organico alla compagine criminale egemone a Pizzo.

All’esito di un successivo sopralluogo in un’area sottoposta a sequestro sin dal 2010, il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Pizzo ha invitato il sindaco Callipo a chiedere al responsabile della polizia municipale una rettifica del provvedimento di dissequestro che non avrebbe dovuto riguardare alcune aree. Successivamente, effettuata un’ulteriore ispezione e verificata la sussistenza di opere abusive non demolite – tra le quali la piscina – il responsabile dell’ufficio tecnico chiedeva al sindaco di adottare una delibera con la quale avrebbe dovuto esprimersi in merito all’esistenza di prevalenti interessi pubblici per la conservazione di opere insistenti sul terreno, e l’acquisizione di quelle non demolite, al patrimonio comunale. Le indagini hanno invece evidenziato che, pur a fronte di tale formale richiesta, il vertice dell’amministrazione comunale “non  ha adottato alcuna delibera”, consentendo all’esponente della criminalità organizzata di continuare a mantenere la disponibilità dell’area in questione. Il Comune non avrebbe effettuato su tale sito gli accertamenti per i quali era stata delegata nel 2017 dall’autorità giudiziaria.

La questione Mocambo

Grande rilievo trova poi la vicenda concernente la gestione e la vendita del Mocambo.

Il 19 giugno 2015 l’ufficio Urbanistica del Comune di Pizzo aveva emesso un’ordinanza di revoca dell’agibilità dei locali del Mocambo per mancanza di regolare allaccio alla rete fognaria. Il 26 giugno 2017, quindi, veniva revocata alla società Futura srl l’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande e l’autorizzazione di affittacamere allo stesso Mocambo. Tre giorni dopo, però, con ordinanza dell’ufficio Commercio del Comune di Pizzo, a firma di Enrico Caria, veniva disposta la sospensione della revoca all’autorizzazione di somministrazione di alimenti e bevande prima citata; in data 27 luglio 2017 la responsabile del settore Urbanistica del Comune di Pizzo, Maria Alfonsina Stuppia, disponeva poi la sospensione della revoca dell’agibilità dei locali.

Con tali condotte sarebbe stato intenzionalmente procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale a Maurizio Fiumara, Saverio Razionale (boss di San Gregorio d’Ippona), Gregorio Gasparro (anche lui di San Gregorio), Francesco Isolabella e allo stesso sindaco Gianluca Callipo, quest’ultimo “in conflitto di interessi e in violazione del dovere di astensione”. Così facendo, sarebbe stato consentito a Francesco Isolabella (amministratore della Futura srl), Saverio Razionale (in foto) e Gregorio Gasparro (soci occulti della società) di mantenere la gestione del Mocambo.

 

La stessa struttura turistico-alberghiera è stata poi acquisita da Gianluca Callipo e da Maurizio Fiumara (rispettivamente in qualità il primo di socio e il secondo di amministratore unico della società “C.T.S. Costruzioni Sud spa”) mediante procedura fallimentare. La relazione del prefetto evidenzia che fonti tecniche di prova hanno fatto emergere un interesse «quasi  spasmodico» da parte di alcuni componenti della compagine politica, in particolare del sindaco e di un assessore, affinchè le richieste provenienti da soggetti vicini alla criminalità organizzata venissero prontamente evase». Per il prefetto e il ministro dell’Interno è al riguardo «emblematica la circostanza che a seguito dell’avvenuto acquisto del Mocambo sia stato proprio il sindaco ad assicurare a Razionale e Gasparro di poter continuare a gestire la struttura ricettizia».

Il ruolo del comandante dei vigili

Sempre riguardo alla vicenda del Mocambo, l’accusa di concorso in abuso d’ufficio con l’aggravante delle finalità mafiose viene contestata, oltre a Gianluca Callipo, anche al comandante dei vigili Enrico Caria, a Maurizio Fiumara di Francavilla Angitola, Gregorio Gasparro (in foto), Saverio Razionale, Francesco Isolabella, Daniele Pulitano, Maria Alfonsina Stuppia (dirigente dell’Urbanistica) e all’allora assessore ai servizi sociali ed all’Urbanistica Pasquale Marino.

L’inchiesta “Rinascita-Scott” ha inoltre dimostrato come in più casi l’attività amministrativa del Comune di Pizzo sia stata, secondo anche la relazione del prefetto, «sviata in favore degli interessi imprenditoriali del sindaco Gianluca Callipo».

 

Ai fini del commissariamento del Comune per infiltrazioni mafiose pesa poi il reato di falso con l’aggravante delle finalità mafiose contestato al comandante della polizia municipale, Enzo Caria, poiché con nota del Comune di Pizzo – polizia municipale del 22 giugno 2017, a seguito di richiesta da parte di personale della polizia penitenziaria del carcere di Vibo – avrebbe falsamente attestato la convivenza tra Salvatore Mazzotta ed Irene Altamura, consentendo a quest’ultima di avere acceso ai colloqui in carcere, luogo in cui il Mazzotta era all’epoca detenuto.

 

Da tutto ciò deriva lo «svilimento e la perdita di credibilità» del Comune di Pizzo, nonché il «pregiudizio degli interessi della collettività», che hanno reso necessario l’intervento dello Stato con il commissariamento dell’ente al fine di assicurarne la riconduzione alla legalità.