Contiene retroscena di non poco conto anche sul tentato omicidio ai danni di Domenic Signoretta, avvenuto a Nao di Ionadi il 19 maggio 2019, l’operazione contro il clan Molè di Gioia Tauro che ieri ha portato a 104 arresti in tutta Italia. Un capitolo dell’inchiesta è infatti dedicato proprio a tale agguato nel Vibonese ad oggi impunito. Si scopre così che in tale missione di morte – poi fallita – è coinvolto anche Rocco Molè, 26 anni, di Gioia Tauro, il “rampollo” dell’omonimo clan attorno al quale ruota l’operazione e che avrebbe ereditato il bastone del comando dal padre Girolamo, detto Mommo, da anni detenuto per scontare condanne definitive per associazione mafiosa ed omicidi.

Rocco Molè vanterebbe un solido legame con Antonio Campisi, 30 anni, di Nicotera, figlio di Domenico Campisi, il broker della cocaina ucciso sulla provinciale per Nicotera il 17 giugno 2011. Un delitto ad oggi – anche questo –  impunitoDomenico Campisi era legato da rapporti di comparaggio con Girolamo Molè, 60 anni, padre di Rocco. In particolare, Girolamo Molè avrebbe fatto da compare d’anello a Domenico Campisi. Domenic Signoretta è stato invece accusato dal collaboratore di giustizia Arcangelo Furfaro di Gioia Tauro di essere uno degli esecutori materiali dell’omicidio di Domenico Campisi.

Fatto di sangue che sarebbe stato commesso su mandato del boss di Nicotera Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”.  Un’accusa non sfociata al momento – però – in alcuna contestazione specifica nei confronti di Domenic Signoretta e di Pantaleone Mancuso. Domenico Campisi è stato ucciso sulla provinciale per Nicotera nel giugno del 2011. Avrebbe pagato con la vita l’aver tenuto nascosto a Pantaleone Mancuso (“l’Ingegnere”)ed a Domenic Signoretta alcuni traffici di cocaina.

Antonio Campisi (figlio dell’assassinato Domenico) avrebbe così inteso vendicarsi contro Domenic Signoretta programmando il suo omicidio facendosi aiutare per tale “missione” di morte da Rocco Molè.

Il sopralluogo a Nao di Ionadi per l’agguato

«Dalle investigazioni in atto – si legge nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria –  è emerso che in data 16 maggio 2019 Rocco Molè e Antonio Campisi si spostavano con una Fiat Panda nella frazione Nao del comune di Ionadi. Prima di partire da Gioia Tauro, Rocco Molè spiegava a Simone Ficarra che doveva andare con Totò, appellativo con il quale Rocco Molè chiamava Antonio Campisi». Dalle intercettazioni, gli inquirenti sono riusciti a capire che Rocco Molè «con Antonio Campisi doveva pianificare l’agguato mortale in danno di Domenic Signoretta» e i due si erano recati il 16 maggio 2019 a Nao di Ionadi «per effettuare una sorta di sopralluogo, dapprima in prossimità dell’abitazione di Domenic Signoretta e poi presso un vicino acquedotto dove verrà poi individuata la Fiat Uno incendiata con all’interno le armi impiegate per attentare alla vita di Signoretta».

La casa di Domenic Signoretta

Giunti all’altezza di via Maria Pisa – strada parallela a via Giardino – Rocco Molè, su indicazioni del Campisi, svoltava per la citata via e Antonio Campisi indicava a Molè un’abitazione: “La casa quella è!”.

In quel momento, il sistema di localizzazione satellitare registrava il transito dell’autovettura in corrispondenza dell’abitazione di Domenic Signoretta, ubicata nella vicina via Giardino, «circostanza – sottolineano gli inquirenti – che dimostra come Campisi intendeva indicare proprio la sua abitazione». I sopralluoghi proseguivano quindi da altre vie vicine con un’auto risultata rubata il 2 maggio 2019 a Riace.

Dopo questa breve sosta, Rocco Molè e Antonio Campisi lasciavano Nao di Ionadi per sostare qualche minuto a Mileto nei pressi di una piazza. Quindi Rocco Molè si dirigeva da solo verso Gioia Tauro. Le intercettazioni hanno quindi permesso di accertare nella stessa giornata, ma qualche ora dopo, la presenza di Antonio Campisi a Gioia Tauro in una fattoria dei Molè. Da altre intercettazioni, gli investigatori ritengono che il commando contro Domenic Signorettapartito da Gioia Tauro e composto da almeno quattro persone«doveva essere composto da due autovetture: in una doveva viaggiare Rocco Molè con altri due individui, uno dei quali doveva essere Antonio Campisi; nell’altra, invece, doveva trovarsi il complice che aveva il compito di recuperarli».

Ulteriori accertamenti sono in corso nei confronti di altri due soggetti – uno di Gioia Tauro, l’altro di Nicotera – che potrebbero aver preso parte all’agguato contro Domenic Signoretta.

«L’agguato mortale teso a Domenic Signoretta era stato teso alle ore 21.40 circa del 19 maggio 2019, orario che collima – sottolineano gli investigatori – con la fascia oraria in cui Rocco Molè si è reso irreperibile». Le evidenze acquisite sul sopralluogo compiuto alcuni giorni prima, per la Dda di Reggio Calabria forniscono un «quadro indiziario univoco in ordine al ruolo di Campisi e di Rocco Molè nella pianificazione dell’attentato alla vita di Domenic Signoretta. Le ulteriori circostanze indiziarie sono inoltredimostrative che i due, unitamente ad altri complici non meglio identificati, hanno partecipato anche alla fase esecutiva del delitto».

Antonio Campisi e l’omicidio del padre

La conferma che Antonio Campisi era venuto a sapere chi aveva ordinato l’omicidio del padre, si aveva il 30 luglio 2019. In tale data «Campisi, accompagnato da Giuseppe Muzzopappa, 30 anni, di Nicotera Marina, si recava a Bologna per assistere ad un’udienza dinanzi al Tribunale di Sorveglianza in cui si doveva decidere sullo stato di compatibilità detentiva del suocero Francesco Ventrici» di San Calogero, quest’ultimo broker della cocaina che proprio nel 2011 stava curando alcune ingenti importazioni di sostanza stupefacente con Domenico Campisi prima che venisse ucciso. Antonio Campisi, infatti, rivolgendosi a Muzzopappa faceva capire di ben sapere chi era stato ad uccidere il padre Domenico Campisi. Così nelle intercettazioni Antonio Campisi:“Guarda a mani di chi è morto mio padre, se sapessi questo qua dov’è…”. Per gli inquirenti, tale frammento di dialogo fa capire che Antonio Campisi sapeva «chi era stato ad uccidere il padre» e si ritiene così verosimile che «la causale del tentato omicidio di Domenic Signoretta risieda nel sentimento di vendetta covato da Antonio Campisi dopo che aveva scoperto chi erano stati gli esecutori materiali dell’omicidio e forse anche i mandanti».

Sul tentato omicidio ai danni di Domenic Signoretta è tuttavia competente la Dda di Catanzaro. Contro di lui la sera del 19 maggio 2019 sono stati esplosi almeno trenta i colpi d’arma da fuoco ed è rimasto miracolosamente illeso nei pressi del cortile della propria abitazione dove si trova agli arresti domiciliari.

La fuga di Antonio Campisi a Gioia Tauro

Da altre intercettazioni, la Dda di Reggio Calabria ha infine appurato che subito dopo il tentato omicidio, Antonio Campisi si era rifugiato a Gioia Tauro e Rocco Molè si stava prodigando per trovargli una casa. L’abitazione sarebbe servita a Campisi (che non è indagato nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria) per sfuggire a possibili attentati e da altre intercettazioni gli inquirenti hanno ricavato che «probabilmente Campisi girava anche armato». Dopo essere stato per alcuni giorni a Gioia Tauro, Campisi si sarebbe quindi trasferito altrove.