Supera lo scoglio dell’Appello il processo con rito abbreviato scaturito dall’inchiesta Alchemia, che ha fatto luce sugli affari e i rapporti dei Raso Gullace, clan che insieme ai Parrello-Gagliostro, ha costruito un impero con testa nella Piana di Gioia Tauro e tentacoli imprenditoriali in tutto il Nord Italia.

Solo per Massimo Corsetti, assolto dopo una condanna in primo grado a 8 anni, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha ribaltato la decisione di primo grado del gup Olga Tarzia.

Per il resto, incassano solo lievi riduzioni di pena l’ex politico Fabrizio Accame, nel 2014 candidato con il centrosinistra ad Albenga, in Liguria, e Adolfo Barone che passano da una condanna a 8 anni e 8 mesi a una di 8 anni e 2 mesi, mentre è di 6 anni e 8 mesi la pena stabilita per Antonio Raso, precedentemente condannato ad 8 anni. Condanna a 8 anni integralmente confermata per Pietro Pirrello.

Si tratta di una conferma importante per l’inchiesta che ha fotografato un’organizzazione ramificata su tutto il territorio nazionale, in grado di mettere al proprio servizio imprenditori e politici dei più diversi settori. E i due mondi per il clan erano reciprocamente funzionali.

Non a caso, i Raso-Gullace non hanno esitato un momento a finanziare i comitati "Si Tav", per sostenere a livello politico e sociale la grande opera. Sinonimo di cantieri, appalti e lavori, la variante del Terzo Valico è divenuta preda delle famiglie di Cittanova, che hanno monopolizzato il movimento terra grazie a compiacenti subappalti. Ma questo non era certo il loro unico campo di attività.

I tentacoli dei clan si sono allungati fino a raggiungere decine di imprese, attive non solo nel classico settore del movimento terra, ma anche in quelli ad alta tecnologia e specializzazione, come quello della produzione delle lampade a Led. E poi investimenti immobiliari in Costa Azzurra, Canarie e Brasile, negli agriturismi e persino nella commercializzazione di prodotti alimentari contraffatti, importati dalla Cina e venduti in Lombardia e in Francia. Facce diverse di un impero unico, alimentato dai soldi sporchi della ‘ndrangheta.