Era atterrato a Fiumicino dove è stato fermato dai baschi verdi del Gico di Catanzaro. Tutti i pezzi del puzzle che ieri hanno permesso di trarre in arresto dieci presunti narcotrafficanti
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In gergo vengono definiti “ovulatori”. Sono coloro che, legati ai cartelli sudamericani della droga, ingeriscono ovuli contenenti cocaina e partono alla volta di altri continenti trasportando la droga nel proprio corpo, mettendo in conto un serio pericolo per la propria vita.
Uno di questi ovulatori è stato tratto in arresto dai baschi verdi del Gico-sezione Goa di Catanzaro all’aeroporto di Fiumicino nel corso dell’indagine che ieri ha portato all’arresto di dieci persone, cinque italiani e cinque colombiani, accusati di narcotraffico internazionale tra Sudamerica e Italia.
L’uomo aveva in pancia otto ovuli per un totale di un chilo e 800 grammi di cocaina. È solo uno dei tanti pezzi del puzzle che il Nucleo di Polizia economico-finanziaria Catanzaro ha ricostruito grazie ad un’attività di cooperazione internazionale con la Dea, l'Agenzia antidroga americana.
Altro pezzo del puzzle che ha permesso di ricostruire l’intesa criminale italo-colombiana è stata la scoperta del fatto che stessero attrezzando un laboratorio in zona Sant’Oreste, in provincia di Roma, per la trasformazione della cocaina da liquida in solida. Il laboratorio si sarebbe trovato in una grotta naturale scelta in un luogo nascosto e discreto. L’operazione condotta dalla Guardia di finanza di Catanzaro, con la collaborazione del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata e del Comando provinciale Roma, ha impedito che il progetto venisse realizzato. Come l’arrivo di un chimico colombiano che, come spesso avviene, aveva il compito di gestire il laboratorio e di insegnare le tecniche di trasformazione della cocaina fino a che gli italiani non si fossero resi indipendenti.
L’inchiesta della Procura di Roma parte da lontano, da un’indagine della Procura di Reggio Calabria del 2018. Un’indagine che non si è fermata e che ha portato ai dieci arresti da parte di quella stessa polizia giudiziaria che aveva condotto le indagini ab origine.
La droga partiva dalla Colombia attraverso voli charter – in alcuni casi i sudamericani avevano anche i propri piloti – o di linea che arrivavano a Fiumicino. Ma non disdegnavano l’uso di navi con la cocaina nascosta in container frigo nei vani motore dei natanti.
La droga si riversava sulla principale piazza di spaccio di Tor Bella Monaca per poi essere distribuita in tutta la Capitale.