«Al momento noi in mare non abbiamo nulla e non mandiamo nessuno». «Vabbè, era solo per informarvi». Il dialogo tra le sale operative di Capitaneria di Porto e Guardia di finanza è uno dei passaggi chiave nell’inchiesta sui (mancati) soccorsi nella notte del naufragio di Cutro che la Procura di Crotone si appresta a chiudere.

La veglia di lunedì 26 febbraio ricorderà la tragedia in cui hanno perso la vita 94 migranti. All’alba di quel giorno, un anno fa, due pattugliatori veloci della Guardia di finanza usciti in mare per un’operazione di polizia antimmigrazione, invertono la rotta. Mare forza 4 in peggioramento e vento forza 5: troppo pericolose le condizioni meteomarine. Mentre i due mezzi tornano al porto di Crotone, i finanzieri contattano la Capitaneria di Porto e danno vita al dialogo che trasforma in un miraggio l’ipotesi dell’invio dei soccorsi.

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La Capitaneria illustra le proprie ragioni: «Siamo fermi alle informazioni delle 23.37. Non abbiamo ricevuto richieste di soccorso, c’è solo l’avvistamento dell’elicottero Eagle1, non c’è certezza che su quella barca ci siano migranti, e nell’ultima posizione nota l’imbarcazione navigava regolarmente».

Sono due i fermo immagine di quella notte: tra l’avvistamento di Frontex delle 23.37 e la chiamata che parte dalla sala operativa della Finanza passano quattro ore. Sulla valutazione di ciò che (non) è successo in questo lasso di tempo si giocano gli esiti dell’inchiesta condotta dall’ufficio retto dal procuratore Giuseppe Capoccia.

Un anno di indagini e di scontri tra Frontex e l’Italia. Un anno in cui, passo dopo passo, sono emersi elementi che aiutano a ricostruire l’incubo di quella notte. Altre istantanee da una tragedia. La rotta del caicco Summer Love calcolata male da Eagle1, l’elicottero di Frontex. I pescatori che dalla spiaggia di Cutro segnalano le loro con le luci la loro presenza perché temono che il barcone tagli le loro reti. Gli scafisti che scambiano i pescatori per la polizia e cercano di non farsi fermare con una manovra impossibile che provoca lo schianto contro una secca. Il Summer Love finisce in brandelli tra le 4.15 e le 4.30, poco più di mezz’ora dopo la telefonata del «non mandiamo nessuno». Un mare di dolore: 35 delle 94 vittime sono bambini o ragazzini, i sopravvissuti sono 81, una decina di corpi non sono mai stati restituiti dalle onde.

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Sono sei, finora, gli indagati: tre ufficiali della Guardia di finanza e altrettanti uomini della Guardia costiera. Il numero, secondo le indiscrezioni filtrate, potrebbe ridursi perché per alcuni le responsabilità sarebbero ritenute minori. Nessuna conferma ufficiale, per ora, sull’apertura di un fascicolo da parte della procura militare di Napoli.

Un passo indietro: alle 23.37 Finanza e Guardia costiera parlano della segnalazione del barcone arrivata da Eagle1. Il mezzo di Frontex segnala «velocità 6 nodi, una persona sul ponte superiore, possibili altre sottocoperta», data la «significativa risposta termica dai boccaporti aperti a prua. Buona galleggiabilità, nessuna persona in acqua». La Capitaneria di Porto si offre di avvisare i mezzi a Roccella e Crotone. I finanzieri rispondono che «è una operazione di polizia, la gestiamo noi. Eventualmente vi contattiamo noi se abbiamo necessità».

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Il fatto è che il mezzo della Gdf che avrebbe potuto effettuare l’intervento era rientrato per «avverse condizioni meteomarine» mentre era in mare per «una crociera programmata antimmigrazione». Gli altri pattugliatori possono affrontare mare fino a forza 4, dunque non potranno essere utilizzati.

La domanda, però, è d’obbligo: se le condizioni del mare erano ingestibili per i mezzi delle fiamme gialle, quante speranze poteva avere il caicco turco che si era imbarcato nell’ennesimo viaggio della speranza? La risposta sono le 94 croci della strage di Cutro.

Altra domanda: perché non dichiarare un evento di soccorso e coinvolgere le imbarcazioni della Guardia costiera, pensate proprio per fronteggiare condizioni meteo di quel genere?

Dall’altra parte del telefono c’è la Guardia costiera che, è una delle ipotesi al vaglio, pur avendo ricevuto dalla Finanza input per non agire sarebbe stata comunque «tenuta a monitorare le operazioni e intervenire». Per quattro lunghe ore nessuno ha fatto nulla.

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A rendere ancora più oscuro il caso è un recente rapporto di Frontex. Per quattro motivi. Il primo: l’agenzia europea ha evidenziato che al momento dell’avvistamento del barcone naufragato a Cutro nella notte tra il 25 e il 26 febbraio di un anno fa, nella centrale di sorveglianza dell’agenzia a Varsavia c’erano anche due ufficiali italiani e «nessuno dei due ha comunicato che il caso fosse di particolare interesse».

Secondo: quando Frontex ha deciso di non classificare l’avvistamento come situazione di pericolo, «non c’è stata alcuna obiezione» da parte degli italiani presenti nella sala, «né c’è stata la richiesta di fare ulteriori accertamenti». Terzo elemento: subito dopo il naufragio, quando è stata decretata l’operazione di ricerca e soccorso, Frontex ha offerto la disponibilità di un aereo per perlustrare la zona, ma «non è stata ricevuta alcuna risposta scritta». Ultimo dato emerso nel rapporto dell’ufficio per i diritti fondamentali di Frontex: dopo la tragedia, l’agenzia ha chiesto alle autorità italiane informazioni sull’attività di monitoraggio intrapresa dopo la segnalazione senza ottenere risposte.

Il documento sottolinea che, dopo la segnalazione dell’imbarcazione, l’Italia avrebbe dovuto «imperativamente» avviare un’attività di «monitoraggio o persino di assistenza» perché, pur in assenza di segnali di un pericolo imminente, «casi come questo possono degenerare rapidamente in una situazione di emergenza».