Quella casa abusiva dove hanno trovato la morte 9 persone, tra cui due bambini piccoli, doveva essere abbattuta già nel 2011. L’ennesima tragedia, che si è consumata questa volta in Sicilia, a Casteldaccia, in provincia di Palermo, riaccende i riflettori sul peccato originale che macchia come una maledizione il territorio italiano, soprattutto il Sud, stuprato da decenni di costruzioni abusive, edificate spesso in luoghi talmente inadatti da non aver bisogno di alcuna classificazione di rischio idrogeologico per apparire come una follia.

 

Sud violentato dall'abusivismo edilizio

In questo contesto di totale disprezzo del buonsenso prima ancora che delle regole, la Calabria occupa, purtroppo, un posto di vertice, con il 46,6% di edilizia illegale. In altre parole, quasi un’abitazione su due è abusiva. Fa peggio solo la Campania, dove il rapporto pari alla metà viene addirittura superato, con il 50,6 immobili fuorilegge ogni cento. Complessivamente, l’abusivismo edilizio al Sud riguarda il 47,3% del patrimonio immobiliare, mentre nelle regioni del Centro cala al 18,9%, per poi raggiungere la percentuale più bassa al Nord, con 6,7 immobili abusivi su cento.

Ma il dato più inquietante riguarda gli abusi conclamati per i quali è stato già emesso un ordine di demolizione. Dall’ultimo rapporto di Legambiente sul fenomeno, Abbatti l’abuso, risulta che in Italia dal 2004 ad oggi appena il 19,6 % delle demolizioni sono state eseguite. «Ovvero - si afferma nello studio - ne mancano all’appello oltre l’80%. Se ci limitiamo a valutare il rapporto tra ordini di demolizione e abbattimenti veri e propri, la performance migliore è quella del Friuli Venezia Giulia, con il 65.1%, quella peggiore è della Campania, con il 3% di esecuzioni».

 

In Calabria non si demolisce

E la Calabria? Non se la passa molto meglio, con solo il 6% di demolizioni eseguite. Nello specifico, tra il 2004 e il 2018 sono state emesse in Calabria 2.816 ordinanze di abbattimento, ma si è proceduto soltanto in 168 casi. Ne restano 2.648, che in teoria avrebbero già dovuto dar corso all’acquisizione da parte dei Comuni degli immobili oggetto delle ordinanze. La legge, infatti, prevede che se il proprietario di un immobile abusivo non rispetta l’ingiunzione alla demolizione entro 90 giorni, lo stesso viene automaticamente acquisito al patrimonio immobiliare pubblico, inclusa l’area circostante per un’estensione massima di dieci volte la superficie dell’abuso (art. 31, comma 3, DPR 380/2001).
«Questo significa – spiega Legambiente - che il patrimonio edilizio abusivo, colpito da ordine di abbattimento non eseguito entro i tempi di legge, è a tutti gli effetti proprietà del Comune, che lo demolisce in danno dell’ex proprietario, ossia anticipando le spese che poi dovrà farsi risarcire, o - eccezionalmente - lo destina a usi di comprovata pubblica utilità».

 

I Comuni si girano dall'altra parte

Ebbene, nonostante sia questa la previsione di legge, in Calabria, su 2.648 ordinanze di demolizioni che aspettano di essere eseguite, sono soltanto 18 gli immobili trascritti nei registri pubblici ed entrati nella disponibilità dei Comuni. Un dato estremamente allarmante che testimonia l’impermeabilità del sistema alle regole, anche quando sono imposte da leggi dello Stato ad altri pezzi dello Stato, cioè le amministrazioni comunali.
«C’è un’Italia abusiva che resiste alle ruspe», si legge nel rapporto dell’associazione ambientalista, che condanna senza appello qualunque ipotesi di nuovi condoni.
«Sono sei – continua il rapporto - le regioni, quelle a tradizionale presenza mafiosa, ossia Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, più Lazio e Sardegna, che stanno pagando a più caro prezzo l’eredità del vecchio abusivismo, quello massiccio dei decenni passati che invade le coste, deturpa le aree rurali e le periferie, spesso spopolate, dei paesi. Sebbene sembri archiviata la stagione degli ecomostri pluriplano, quelli in stile Fuenti o Punta Perotti, tenere alta la vigilanza su questo tema è, ancora oggi, di fondamentale importanza. Non solo perché si facciano le demolizioni, ma anche per opporsi con tempestività ai tentativi, mai sopiti, di varare un quarto condono».

 

Il nuovo condono che non piace a Legambiente

Il riferimento esplicito è alla nuova sanatoria a favore delle zone terremotate di Ischia e inserita nel decreto per la ricostruzione a Genova, ora in fase di conversione in legge. Un condono che, qualora venisse confermato dal Parlamento nei termini iniziali previsti dal dl, consentirebbe di eludere anche i vincoli paesaggistici e ambientali, consentendo la ricostruzione a spese dello Stato di abitazioni danneggiate o venute già a causa del sisma del 2017, ma che in quei luoghi non avrebbero mai dovuto essere edificate, salvo accorgercene quando la natura reclama in maniera catastrofica il suo spazio.