I proiettili erano “confetti”, i fucili li chiamavano “gomme”, “camere d’aria”. E poi tanti soldi, lingotti d’oro e Padrini old style. Le rivelazioni dei pentiti riscontrate nella testimonianza diretta di un poliziotto sotto copertura che è riuscito ad entrare in confidenza con i boss in terra elvetica
LEGGI ANCHE: Imponimento, gli affari del clan Anello-Fruci tra villaggi turistici e interessi in Svizzera
Imponimento, finanziere passava informazioni al boss e chiedeva favori: «Voglio quei terreni»
Imponimento, Gratteri: «Sono stati commessi tutti i reati previsti dal codice penale»
Traffico di droga, maxi operazione della Guardia di finanza tra Lamezia e Vibo: 75 arresti
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Armi in cambio di droga. Fucili, pistole e munizioni che nelle conversazioni diventavano «gomme», «camere d’aria», «pezzi di ricambio», ma concretamente passavano le frontiere. Insieme ai soldi. Quelli veri che arrivavano in Calabria, quelli falsi, riciclati in Lichtenstein. Il clan Anello in Svizzera aveva basi solide, affari, traffici, locali e imprese. Ed anche grazie a questo è riuscito a costruire il proprio impero.
Il fiume di armi in arrivo dalla Svizzera
I pentiti lo dicono chiaramente fin dalla fine degli anni Novanta. I clan che impongono il proprio dominio fra il lametino e il vibonese con la Svizzera fanno affari da sempre. Da lì arrivano le armi che «servivano o per commettere omicidi o per eseguire intimidazioni per finalità estorsive» racconta Francesco Michienzi. Agli Anello «dalla Svizzera portavano i cosiddetti confetti, cioè munizioni che in Svizzera erano in libera vendita» aggiunge. «Rocco Anello – dice invece il pentito Pasquale Giampà - forniva anche eroina ed armi. Sempre nel corso di quella riunione, Rocco Anello ci disse che avrebbe potuto fornirci armi, in particolare pistole, che importava dalla Svizzera tramite un suo fiduciario. In più occasioni, sempre per il tramite di Giuseppe Chirumbolo, gli Anello ci proposero in vendita delle pistole, ma erano pistole a tamburo di grosso calibro»
Gli uomini del clan oltreconfine
Traffici – ha messo in luce l’indagine coordinata dal pm Antonio De Bernardo, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dal procuratore capo Nicola Gratteri – che ancora continuano. Ne parlano spesso anche gli indagati nelle innumerevoli conversazioni intercettate. Certo, i fucili diventano camere d’aria per camion, le munizioni pezzi di ricambio. Ma il significato è chiarissimo. E mentre le armi arrivano in Calabria, insieme a denari su denari, gli Anello costruiscono il proprio impero anche oltre confine. Del resto, lì gli Anello possono contare su uomini di fiducia, in tutto e per tutto espressione del clan, Francesco Fiore e Carmelo Masdea e Marco Galati.
Vecchi e nuovi ambasciatori
I Masdea, soprattutto Carmelo che in Svizzera - racconta lui stesso intercettato - ci sta stabilmente da anni, per gli Anello sono un punto di riferimento stabile. Per la posizione che hanno nella geografia criminale del clan, hanno persino la possibilità di frequentare la casa del boss anche se lui è detenuto. Una prova, sostengono gli inquirenti, delle regolari consegne del denaro messo insieme in Svizzera grazie a traffici leciti e illeciti. Galati, originario del catanzarese, è un “acquisto” più recente. «Quando in epoca successiva al 2003 Rocco Anello ha stretto rapporti con i fratelli Stillitani piuttosto che con un altro importante che si chiama Galati, ha accresciuto i suoi interessi in Svizzera per il tramite delle entrature di questi imprenditori, che erano legati alla massoneria» dice Mantella. «Altre entrature venivano assicurate a Rocco Anello in Svizzera da Francesco Mallamace imprenditore boschivo e dal di lui suocero Vincenzo Rubino, che in verità era più legato a Damiano Vallelunga». Oltreconfine, gli Anello avevano mille agganci. Ma i loro principali referenti erano i Masdea e Galati.
Dagli alberghi alle finanziarie
Erano loro a procurare le armi, così come a reinvestire i capitali. «Rocco Anello aveva forniture di armi innanzi tutto da tali Fiore e Carmelo Masdea che dimoravano in Svizzera. […] chiesi spiegazioni a Vincenzino Fruci il quale mi disse che i Masdea avevano fatto una fortuna in Svizzera ove gestivano danaro di Rocco Anello reimpiegato in diverse attività commerciali» spiega il pentito Andrea Mantella. E sa indicare anche in quali ambiti «alberghiero, nel settore delle finanziarie, tramite una persona dimorante in Genova che si chiama Onofrio Garcea. Le finanziarie - sottolinea - funzionavano in modo assai semplice, bastava disporre di piccoli immobili sulla strada, tipo garage, per offrire denaro in prestito per importi modesti». E ancora «quelli della ristorazione e delle attività di compro-oro» spiega il collaboratore di giustizia Andrea Mantella.
Le verità dell’infiltrato
Tutte indicazioni non solo confermate dalle indagini congiunte della procura di Catanzaro e dei magistrati di Berna, per la prima volta insieme gomito a gomito nell’ambito di una Squadra investigativa comune (Joint Investigation Team) costituita presso Eurojust. Ma soprattutto viste e toccate con mano da un infiltrato. Di lui si sa poco, anzi quasi nulla. Non ha volto, non ha storia, non ha nome. Non si sa come sia riuscito ad entrare in confidenza con Marco Galati e Carmelo Masdea ma le relazioni – molte delle quali riportate per intero fra le carte dell’inchiesta – raccontano in dettaglio degli affari del clan in Svizzera. Si parla di armi – fucili e pistole di ogni calibro – vendute per prezzi che vanno dai 500 agli oltre mille franchi, di decine di migliaia di franchi svizzeri da cambiare in euro e contrabbandare in Italia, dei locali notturni che gli Anello aveva oltreconfine.
«Mio compare è un vero padrino»
«Carmelo ha aggiunto che il suo compare aveva posseduto altri due club, un’attività è a Bulach e l’altra “il Moulin Rouge” a Schaffusen. In passato si sono fatti un sacco di soldi con questo business ora non più. Di una sua partecipazione non ha detto nulla. Marco ha detto due volte a Chris che il proprietario del Tiffany è uno dei loro» si legge in una delle relazioni. Il «compare» di Galati e Masdea è Rocco Anello. «Ha descritto il suo amico – spiega l’infiltrato in una delle sue note - come un padrino. Io gli ho chiesto “un padrino?” Carmelo ha risposto “un vero Padrino sai come un boss”. Mi sono dimostrato meravigliato ed ho detto di non aver mai conosciuto un vero padrino. Carmelo ha chiarito che in estate farà in modo che io mi possa sedere con il padrino a tavola. Mi presenterà tutte le persone. Carmelo ha detto inoltre che fa visita al padrino sempre a Natale ad esclusione di ora che è in carcere».
Riciclaggio “diplomatico”
Gioca con il fuoco l’agente undercover. I Masdea non sono tranquilli. Hanno capito che ci sono indagini in corso, gli dicono candidamente di aver trovato cimici. Ma lui non si scompone. E fino alla fine del 2019 continua a frequentarli e a relazionare sui loro rapporti e i loro affari, sul loro recente interesse per il mondo del trading e della speculazione finanziaria, come del riciclaggio puntando sull’oro. L’ultima annotazione riportata è del 15 settembre dello scorso anno. «Le persone che conosce avrebbero ripulito milioni in Liechtenstein per un milione il “principe” riceve 150.000. Per due milioni sono già 300.000. I soldi vengono trasportati con auto del Corpo Diplomatico. Per questo motivo le persone non possono essere controllate. Marco ha altresì detto che conosce qualcuno che ha fatto affari con l’oro (lingotti) e argento. Con ciò si può guadagnare denaro». Materiale buono anche per i magistrati della Confederazione Elvetica, che contro gli uomini del clan Anello in Svizzera hanno aperto un fascicolo per organizzazione criminale. L’unico contestabile, perché la ‘ndrangheta non esiste nei codici ma fa affari.