La 22enne aveva in corpo una dose monstre di ipnotico ed è stata soffocata senza lasciare segni, ma i medici legali non si sono fatti ingannare
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Si chiama “Zaleplon”, ed è un ipnotico in capsule utilizzato per curare i disturbi del sonno. Il 10 novembre del 2005 Lisa Gabriele ne aveva in corpo una dose quaranta volte superiore a quella che si assume a scopo terapeutico. A rilevare la presenza del farmaco, potentissimo ma quasi mai letale, sono i medici legali che quel giorno eseguono l’autopsia sulla ventiduenne di Rose. Poche ore prima, era stata trovata morta in una radura ad alta quota in territorio di Montalto.
Un suicidio simulato
Suicidio si pensa nell’immediatezza e, del resto, una lettera di addio al mondo rinvenuta all’interno della sua auto sembra confermarlo. Prima l’ispezione cadaverica e poi l’autopsia, però, metteranno in crisi questa ricostruzione, rimandando a uno scenario a tinte ancora più fosche. Oltre al potente ipnotico, infatti, i medici rilevano sul cadavere qualcosa che fa ritenere che la ragazza sia stata soffocata in modo meccanico. Niente corde, lacci o altri oggetti destinati a produrre ferite e lesioni. Nulla di tutto ciò. Se qualcuno ha asfissiato Lisa, ha utilizzato un cuscino o uno strumento analogo, pensando di agire così in modo discreto e senza lasciare segni. L’assassino o gli assassini, però, non hanno fatto i conti con la reazione del suo organismo.
I segni dell’asfissia meccanica
Agli occhi dei dottori Raffaele Mauro e Gabriele, infatti, il corpo di Lisa si presenta con labbra, piedi e unghie cianotiche. I due specialisti rilevano anche l’irrigidimento anomalo di braccia e gambe nonché piccole ecchimosi – le cosiddette petecchie – sparse per il corpo in particolare sulle palpebre. La letteratura medica li indica come i sintomi classici della morte da asfissia meccanica, visibili a occhio nudo e impossibili da nascondere. Da qui la convinzione che Lisa sia stata uccisa dolcemente da qualcuno che, prima di soffocarla, l’ha imbottita di sedativi fino a ridurla in coma. Ecco perché sul corpo non c’era alcun segno che rimandasse a un estremo tentativo della vittima di difendersi dall’aggressione. Semplicemente, la poveretta non ne ha avuto la possibilità.
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