Omissioni, depistaggi e bugie, ancora dopo 27 anni di denegate giustizia e verità, l'assassinio di Ilaria Alpi, giornalista del Tg3, e del collega, l’operatore Miran Hrovatin, uccisi il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio, resta uno dei misteri, non solo italiani, più complessi e intricati.

La Somalia in piena guerra civile, sottoposta ad embargo di armi, era esattamente il paese di nessuno in cui le armi erano necessarie all’unico prezzo che un Paese in bancarotta potesse corrispondere: sé stesso, i suoi mari, la sua terra, il suo popolo. Il Paese in cui sfruttare senza scrupoli quella fragilità, in cui ogni operazione sporca (militare o commerciale o anche di spionaggio) avrebbe potuto essere eseguita e poi insabbiata e nascosta, in cui l’impunità avrebbe regnato incontrastata e ripagato abbondantemente ogni rischio. In questo contesto Ilaria e Miran facevano domande e documentavano e per questo potrebbero essere stati uccisi.

L’uccisione di Ilaria e Miran accelerò, infatti, l’istituzione della commissione parlamentare di inchiesta sulla Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Emersero irregolarità, sprechi, corruzione: soldi destinati allo sviluppo e invece deviati su traffici di armi in paesi in guerra in cambio di interramento o ammaraggio di scorie radioattive e rifiuti tossici; fondi utilizzati per costruire cattedrali del deserto finalizzate a coprire altri traffici oppure deviati verso opere funzionali ad altri crimini. Come quella strada Garoe-Bosaso, costruita con fondi della cooperazione internazionale, che sembrava non servire ad alcuno e dove invece la gente del luogo aveva raccontato a Ilaria e Miran di sospetti e frequenti movimenti di fusti. L’importante era spendere e far circolare soldi. Affari ghiotti e altamente redditizi per trafficanti e faccendieri che, con complicità nelle alte sfere, si assicuravano anonimato e impunità. Loschi giri che negli anni Novanta innescarono scandali e inchieste atte a smascherare operazioni di cooperazione internazionale di mera copertura per traffici illeciti.

Le indagini reggine e il certificato di morte scomparso

Un mistero, ancora troppo fitto per svelare il quale si chiede che siano desecretati altri documenti. Un mistero in cui si è imbattuta anche la procura di Reggio Calabria, durante le indagini sugli affondamenti dolosi di imbarcazioni con carico sospetto nei mari calabresi, archiviate nel 2000. Durante una perquisizione fu ritrovato il certificato di morte di Ilaria Alpi. Lo ha riferito l’ex pm della procura reggina, Francesco Neri nel 2005 quando, insieme al pm della procura di Paola, Francesco Greco, anche lui impegnato in una indagine analoga, fu ascoltato dalla Commissione di inchiesta sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Qualche anno dopo il settimanale L’espresso, a firma di Riccardo Bocca, pubblicò un’inchiesta che riferiva della denuncia dello stesso procuratore Neri circa una vera e propria manomissione di alcuni plichi relativi all’indagine dalla quale sarebbero scaturite la scomparsa di documenti e tra questi anche quella del certificato di morte di Ilaria.

Un mistero che ha seguito quello della morte sospetta del capitano reggino Natale De Grazia, stroncato il 13 dicembre 1995 da un malore che è stato accertato, dopo vent’anni, non avere avuto cause naturali. Anche questa fu una morte rimasta senza volto e senza giustizia. Natale De Grazia, uomo di grande competenza e passione, si stava recando alla Spezia per compiere degli atti di indagine e raccogliere informazioni da fonti riservate. Ma in Liguria non arrivò mai.

Natale De Grazia coadiuvava il sostituto procuratore di Reggio Calabria, Francesco Neri, nelle indagini che riguardavano lo spiaggiamento della Motonave ex Jolly –Rosso, avvenuto ad Amantea il 14 dicembre del 1990. Indagava, con acume e meticolosità, sulle presunte navi dei veleni e sui presunti traffici internazionali di rifiuti pericolosi nei mari calabresi. Proprio in occasione di quell’indagine emersero legami con l’affondamento dell’imbarcazione Rigel (relitto mai trovato perché mai cercato), avvenuta a largo di Capo Spartivento, nel territorio metropolitano di Reggio Calabria, il 21 settembre 1987, e con l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Un altro mistero destinato a restare fitto per tenere occulti delitti, complicità e connivenze a più livelli e consolidate nel tempo.
Ilaria, Miran e Natale, una dedizione alla verità completa che ha avuto come riconoscimento depistaggi e silenzio. Famiglie profanate negli affetti che non hanno mai avuto giustizia.