Ha 30 anni, un compagno, due figli, un lavoro e una vita apparentemente appagante. Eppure, d'improvviso, la tensione nervosa la spinge a ingurgitare enormi quantità di cibo anche quando non ha fame
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«Soffro di bulimia nervosa e voglio gridarlo. Ho 30 anni e ho scoperto di soffrirne da poco. Da non credere, vero? Per anni mi sono abbuffata dicendomi che sono una buona forchetta, che il cibo mi rende felice, e che ingrasso facilmente perché ho il metabolismo lento, che è costituzione, che è ritenzione idrica, che mi muovo poco». È l'incipit della lettera che una giovane lettrice ha deciso di inviare ai nostri indirizzi per parlare del suo disturbo alimentare e provare a sensibilizzare l'opinione pubblica in merito a un argomento che, per certi aspetti, è ancora un tabù.
«A volte mi capita di avere la sensazione di stare per vomitare, ma continuo a spingere il cibo giù in gola, quasi fino a strozzarmi». Bea ha un lavoro soddisfacente, un compagno che le vuole bene e due bimbi che considera il suo dono dal cielo. Eppure in un questo suo quadro così apparentemente perfetto, dipinto sullo sfondo della Riviera dei Cedri, c'è un vortice di ansia e dolore che risucchia cibo di continuo, «fino a stare male».
Bea soffre di bulimia nervosa, ma lo ha scoperto da poco perché fino a qualche settimana fa attribuiva le abbuffate al fatto che «in famiglia siamo tutti di buona forchetta, e poi il cibo è una passione». Se n'è accorta una mattina di maggio quando innanzi all'esito impietoso della bilancia ha finito tutte le scuse e ha deciso di chiedere aiuto. Bea ha deciso che vuole raccontare la sua storia per dare forza e coraggio alle tante altre persone che ne soffrono in silenzio, tutti i giorni, per imbarazzo o per vergogna.
Lo sfogo
Ieri sera era una di quelle maledette per Bea, in cui ha ingurgitato qualunque cosa. Doveva essere una cenetta leggera dopo gli abusi dei giorni passati, qualche fetta di prosciutto e un po' spinaci lessati, e invece un impulso irrefrenabile l'ha spinta a mandare giù pane, hamburger, wurstel, patatine e maionese, poi, come se non bastasse, un panino con la cioccolata. Nel giro di un quarto d'ora. «Dopo cena avevo un macigno allo stomaco, avevo nausea e faticavo a respirare». Sfinita e in preda all'ennesima crisi, Bea comincia a scrivere una lettera, poi cancella. «È come spogliarsi nudi, ci vuole la stessa sfrontatezza». Ma sente che stavolta deve farlo. È l'una di notte quando a uno dei nostri indirizzi email arriva la sua storia.
Bulimia, tra ansia e attacchi di panico
Bea, dicevamo, poche settimane fa è riuscita a chiedere aiuto. Il medico le ha detto che nel suo inconscio c'è come un interruttore che si accende tutte le volte che lei prova un disagio. Probabilmente è solo il sintomo di un problema più profondo su cui dovrà indagare. Per il momento quello che sa è che ingurgitare cibo è l'unico modo che conosce per calmarsi, anche se la sensazione non dura più di qualche minuto.
Mangia quantità enormi di cibo che fanno lievitare il suo peso di continuo. Ansia e attacchi di panico le stanno rovinando la vita, vorrebbe uscire con tutte le sue forze da quella gabbia in cui si sente rinchiusa, ma più pensa che la sua vita è perfetta e non dovrebbe stare male, più le viene voglia di addentare qualcosa di commestibile, qualunque cosa, in qualunque orario, anche di notte. «A volte fisso il frigo per minuti nella speranza che mi passi la voglia di mangiare, poi "rubo" il cibo dai cassetti come una ladra».
Quelle finte vite perfette
Bea si affanna, si occupa della prole, della casa, e nel frattempo combatte contro il mostro invisibile, sta male ma nessuno ci fa caso. «Però tutti si accorgono quando ingrasso». Passa le notti insonni, sente tutto il peso delle responsabilità della vita. Non le manca niente, dice, ma a volte ha la sensazione di stare recitando un copione, di avere una vita perfetta secondo le convenzioni sociali, un po' meno per quelli che erano i suoi progetti e i suoi sogni. Ma non ha il coraggio di dirlo, neppure al suo compagno, teme di deluderlo. Così continua a presentarsi al lavoro, quel posto così ambito che però adesso è diventata una trappola. «Mi sento schiacciata da qualcosa più grande di me». E quei figli tanto desiderati che però le tolgono tutta l'energia di un tempo e sottraggono tempo alle sue passioni: «Sono egoista se dico che ogni tanto vorrei un giorno di riposo da tutto?». La tensione nervosa si accumula, colpa anche fantasmi del passato, e lei a volte si sente morire dentro, l'unico "sfogo" è il cibo. «Ammettere di essere bulimica mi provoca un profondo senso di imbarazzo e vergogna, la gente crede che tu non sappia darti una regolata a tavola».
La lettera
È per questo che ieri sera Bea trova il coraggio di raccontare un pezzo della sua vita, comune a quella di tante altre persone, anche se chiede di affibbiarle un nome di fantasia. Alcuni passaggi, estrapolati dalla lettera integrale, sono agghiaccianti: «Temo la bilancia, ho paura del suo giudizio, la odio con tutta me stessa, perché posso mentire a tutti, tranne che a lei. Ho provato diete drastiche, mi sono ammazzata di aerobica, ma è tutto inutile. Perdo qualche chilo, poi riprendo peso a velocità della luce. Nell'immaginario collettivo la troppa magrezza è sinonimo di dolore. E a volte, solo a volte, questo corrisponde al vero. Chi ingrassa, invece, è sempre e solo un avido di cibo a cui piacciono dolci e pastasciutta. Non è così e chiedo rispetto. Non sto giustificando il peso eccessivo, che oltretutto spesso fa rima con malattie, sto solo dicendo che si dovrebbe smettere di prendere in giro le persone grasse o in sovrappeso e pensare che sia una situazione voluta. Sai quante volte mi sono sentita dire "perché non prendi provvedimenti"? E voi pensate che a me piaccia stare in questa situazione, guardarmi allo specchio e vedere un mostro, sentirmi enorme, ingombrante, goffa? Pensate che non ci abbia mai provato a prendere provvedimenti? Se ti rompi un dito lo ingessi, ma se ti rompi dentro la situazione è un po' più complicato».
L'appello
Bea approfitta per lanciare un accorato appello: «Vorrei che si parlasse di più di questo argomento. In una società che ci vuole perfetti, le persone che hanno disturbi alimentari si sentono pesci fuor d'acqua. Vorrei poter un giorno raccontare la mia storia senza vergognarmi, senza sentirmi un rifiuto umano, firmando con il mio nome e cognome. Spero che pubblicherete questo mio sfogo. Magari, chissà, qualcuna o qualcuno leggendo troverà la forza di dire a sé stesso che ha bisogno di auto. Io l'ho fatto soltanto un attimo prima di cadere nel baratro. Mi sento in dovere di scrivere queste parole perché ci sono tanti uomini e tante donne che odiano il proprio corpo, sono stretti in una morsa, e non sanno di soffrire di una patologia. La bulimia lo è e come le altre può essere curata».