Depone in aula l'ex sindaco Vittorio Cavalcanti: «Impossibile amministrare la città in piena autonomia»
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Un sindaco virtuale ed un sindaco ombra. Vittorio Cavalcanti, eletto alla guida del comune di Rende nel 2011, capisce subito di avere le mani legate appena una settimana dopo il voto. A dettare la linea politica, a nominare gli assessori, ad indirizzare il lavoro dei dirigenti c’è Sandro Principe. L’ex sottosegretario, Cavalcanti lo ha voluto e sostenuto. E forte dei numeri in consiglio comunale, ha su di lui potere di vita e di morte. Per sfiduciarlo gli basta uno schiocco di dita. Una morsa nella quale Cavalcanti si sente stritolato. Una pressione insopportabile. Finché non decide di farsi da parte e rassegnare le dimissioni, dopo appena due anni di mandato. Potrebbe riassumersi in queste poche righe il senso della lunga testimonianza resa da Cavalcanti nell’udienza del processo sul Sistema Rende, in corso di svolgimento nel tribunale di Cosenza. Principe è alla sbarra, per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione in atti amministrativi, accuse mosse a Sandro Principe da Pierpaolo Bruni, all’epoca dell’avvio dell’inchiesta, procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro.
Più politica che cronaca
Dalla lunga deposizione resa da Cavalcanti, molto è venuto a galla del suo tormentato rapporto con l’ex assessore regionale. Poco o nulla invece rispetto ai presunti collegamenti con gli esponenti della cosca Lanzino, che secondo la ricostruzione del pm, avrebbero beneficiato di assunzioni di comodo nella Rende 2000, la cooperativa incaricata dal comune della pulizia delle strade e della cura del verde pubblico; né sul bar Colibrì, affidato in gestione, durante la sindacatura Principe (2002) alla moglie di Adolfo D’Ambrosio, affiliato del clan e detenuto per qualche tempo al 41 bis. Il quale, ipotizza il procuratore, avrebbe ricevuto dallo stesso Principe, la somma di centomila euro come contropartita del suo sostegno elettorale alle amministrative, alle provinciali del 2009 e alle regionali del 2010. Unica partecipante al bando, la moglie di D’Ambrosio non avrebbe mai versato alcun canone di affitto al comune e per questo Cavalcanti le aveva inviato lo sfratto.
Il tentativo di condizionare le scelte amministrative
Cavalcanti poi rammenta come Principe gli avesse consigliato di adottare una sanatoria per i debiti fuori bilancio, per un valore di circa nove milioni di euro, per consentire il pagamento ad alcune ditte creditrici nei confronti dell’amministrazione per avere eseguito lavori di somma urgenza. Consiglio non seguito da Cavalcanti che ha ritenuto la procedura non conforme alle norme. Raccontato infine anche lo scontro sulla designazione di Ernesto Lupinacci a dirigente, chiamato da Cavalcanti ma inviso a Principe che poi sulla legittimità della nomina presentò una interrogazione. Alla sbarra ci sono anche Umberto Bernaudo, sindaco in carica dal 2006 al 2011, l’ex assessore Pietro Ruffolo e Giuseppe Gagliardi, altro ex amministratore, imputato però solo per corruzione elettorale. Nel contro interrogatorio dell’avvocato Franco Sammarco, difensore di Sandro Principe, Cavalcanti ha poi avuto modo di precisare che nel corso della sua sindacatura non ha mai ricevuto alcun tipo di pressioni da parte di gruppi criminali.
Dichiarazioni spontanee
Sandro Principe, presente in aula, non si è lasciato sfuggire l’occasione di ritagliarsi un pezzo di ribalta, prendendo la parola per rendere dichiarazioni spontanee, non tanto e non solo per dire la sua rispetto alla deposizione di Cavalcanti, ma anche per rubare spazio al testimone chiave, nelle cronache giornalistiche. Parla della enorme mole di investimenti strutturali realizzati a Rende, per l’ammontare di circa un miliardo di euro, a fronte dei quali, una decina di milioni di debiti fuori bilancio rappresentano praticamente bruscolini. «Abbiamo costruito una città dal nulla e non abbiamo certo lasciato disastri finanziari» dice offrendo la sua versione sulla questione della sanatoria suggerita al sindaco: «Avremmo fatto risparmiare molto alla collettività, evitando contenziosi legali che si sono poi puntualmente verificati». Sul bar Colibrì Principe non può fare a meno di far notare che un bando pubblico non può essere annullato in presenza di una sola offerta. «D’altra parte – chiosa – anche l’appalto della metro è stato assegnato all’unica impresa partecipante. E parliamo di un affidamento da 160 milioni di euro, non di un canone da pochi spiccioli». Rintuzza infine gli attacchi sulla questione Lupinacci: «Presentando una interrogazione – dice – ho solo esercitato una mia prerogativa democratica. Altro che pressione. Sono turbato – ha concluso – dal fatto che si parli di politica in un’aula di tribunale».