Il ruolo dell’imprenditore di Sellia Marina nelle motivazioni della sentenza in ordinario di Basso Profilo. L’ex presidente dei giovani industriali di Crotone Glenda Giglio non era a conoscenza del reticolo di cartiere gestito dall'uomo. L'affaire albanese: per i giudici solo «una sfortunata iniziativa imprenditoriale»
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«Il sistema Gallo». È così che viene definita - nelle motivazioni della sentenza del processo scaturito dall'inchiesta Basso Profilo - la fitta rete di società cartiere direttamente o indirettamente riconducibili ad Antonio Gallo, imprenditore di Sellia Marina condannato, nel filone ordinario, a 30 anni di carcere. Il suo ruolo «apicale emerge chiaramente dalle intercettazioni in cui era egli stesso a qualificarsi a tale stregua» annota il collegio nelle motivazioni della sentenza che nel luglio scorso ha emesso 35 condanne e 12 assoluzioni.
Basso profilo, il dominus del sistema
«L'accentramento del sistema societario in capo a Gallo è poi evidente da come egli si rapportava con altri sodali: innumerevoli sono le conversazioni captate con i suoi più stretti collaboratori che lo coadiuvavano, ciascuno secondo i ruoli, nella gestione dell'organizzazione della società, da cui si evince che egli era il supremo coordinatore di tutte le società, anche quelle che non erano formalmente a lui riconducibili».
Lui la «mente anche delle singole operazioni inerenti alla società che coordinava personalmente tra emissione della fattura, ricezione del bonifico, prelievi frazionati». Ancora sempre lui ad assumere «le decisioni più importanti» durante la crisi societaria «a salvaguardia dell'intero assetto associativo provvedendo ad operare su più fronti e dando anche in tal caso le relative direttive».
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Il sistema di società fittizie
Il sistema sarebbe consistito nella creazione di società fittizie o nella trasformazione di società già esistenti ed operative in cartiere o semi cartiere, intestate a Gallo, ad alcuni sodali o a prestanome anche di nazionalità straniera che ne avrebbero assunto la titolarità fittiziamente acquisendo quote societarie, consegnando i loro documenti identificativi e sottoscrivendo i relativi atti.
Il ruolo di Glenda Giglio: non sapeva delle cartiere
Ed è in questo quadro che si sono mosse le contestazione contro Glenda Giglio, ex presidente dei giovani industriali di Crotone, coinvolta nell'inchiesta per aver facilitato l'intestazione fittizia di società a cittadini albanesi ma assolta. «L'intero compendio intercettivo non reca traccia della consapevolezza della Giglio circa la sussistenza dell'associazione» è quanto si legge nelle motivazioni della sentenza. «Le conversazioni da lei intrattenute con Gallo se, da un lato, permettono di ritenerla al corrente della sua vicinanza ad ambienti criminali, dall'altro non consentono di assumere la sua conoscenza dell'intero sistema di società cartiere da lui gestite e degli illeciti affari così compiuti».
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I voti per sostenere Francesco Talarico
L'imprenditore si sarebbe poi adoperato per sostenere la campagna elettorale di Francesco Talarico nelle elezioni politiche del 2018, candidato nel collegio uninominale di Reggio Calabria con la lista dell'Udc (già condannato ad 1 anno e 4 mesi di reclusione in secondo grado nel filone abbreviato).
Il consenso elettorale
«Emergono chiaramente consapevolezza e la volontà, in capo al Gallo, di procurare voti a Talarico mediante il ricorso a modalità mafiose» ma lo stesso non può dirsi per Tommaso e Saverio Brutto, rispettivamente ex consigliere comunale di Catanzaro ed ex assessore al Comune di Simeri Crichi, entrambi assolti, «in capo ai quali non emerge alcuna consapevolezza in relazione a modalità mafiose di raccolta del consenso elettorale».
Il lavoro per il figlio di Tommaso Brutto
In particolare, Tommaso Brutto «suggeriva al Talarico il ricorso al Gallo avvertendo la necessità di reperire un impiego per il figlio Saverio» a cui avrebbe fatto seguito un incontro con Gallo, Talarico e Cesa «allorquando non era stato esplicitato alcun riferimento ad un sostegno elettorale da attuarsi mediante modalità mafiose, ciò che appare frutto di una autonoma iniziativa di Gallo».
L'affaire albanese
Infine, nessuna illiceità riscontra il collegio dell'affaire albanese promosso da Antonio Gallo ma di cui avrebbero fatto parte padre e figlio. Per il collegio si tratta solo di «una sfortunata iniziativa imprenditoriale». I due erano accusati assieme a Antonio Gallo, Luciano e Ercole D'Alessandro, a Franco Talarico e Antonino Pirello di far parte di una associazione che avrebbe commesso reati contro la pubblica amministrazione utilizzando società e imprese esistenti nel settore dell'antifortunistica e della pulizia, anche aprendo una sede in Albania. Promotore è Gallo ma Tommaso e Saverio Brutto avrebbero messo in contatto l'imprenditore con Talarico per «creare un connubio efficace per reperire appoggi sul piano politico» per il collegio non c'è alcun reato.