Per il gip, Bruno e Giovanni Giampaolo erano in grado di muovere grosse quantità di cocaina (e avrebbero avuto la disponibilità di armi da guerra). Coinvolti due uomini di Siderno e Gioiosa Jonica. Nell’inchiesta un sequestro di 150 chili di droga importati dal clan Bellocco
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Bruno e Giovanni Giampaolo, di 35 e 32 anni, secondo la Dda di Genova avrebbero continuato l’attività del padre Antonio. Figli d’arte, se tale si potesse considerare il traffico di cocaina. I due fratelli sono stati arrestati nel blitz che oggi ha portato in carcere 20 persone. Non sono gli unici calabresi coinvolti ma il loro ruolo è ritenuto in qualche modo centrale secondo le valutazioni del gip che ha disposto le misure cautelari: i due, per il giudice, «si sono rivelati in grado di movimentare consistenti quantitativi di cocaina di elevata qualità, con modalità e tempi che rendono ragionevolmente ipotizzabile relazioni con i vertici del narcotraffico internazionale».
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E proprio nel narcotraffico internazionale era impegnato il padre dei due, «estradato il 30 giugno 2001 dal Venezuela dopo la condanna a 24 anni di reclusione per associazione mafiosa e sequestro di persona». Dalle annotazioni confluite nell’inchiesta emergerebbe poi che i due fratelli fossero già comparsi «accanto alla figura di Michele Strangio nell'indagine Geenna, avente ad oggetto un ampio traffico di sostanze stupefacenti tra la Spagna, la Calabria e la Valle d'Aosta, conclusasi con sentenza di condanna, tra gli altri, di Bruno Nirta, nipote della madre di Antonio Giampaolo».
Cocaina, Kalashnikov e bombe a mano
Legami familiari che ruotano attorno a San Luca, comune di residenza di Bruno e Giovanni Giampaolo, e alla Locride, terminale di partenza di alcuni dei traffici ricostruiti nell’inchiesta. Da Locri sarebbero partiti chilogrammi di cocaina indirizzati a Genova, per essere immessi sul mercato da un altro calabrese, Rocco Spagnolo, nato a Siderno 58 anni fa e residente da tempo in Liguria. Proprio Spagnolo, assieme a un altro indagato, avrebbe gestito «uno smercio sistematico» e attivato «paralleli canali di approvvigionamento» sia per la cocaina che per l'hashish. In questo caso il referente sarebbe stato Nicola Loccisano, 59 anni, residente in provincia di Torino ma originario di Gioiosa Jonica. Loccisano, a sua volta, avrebbe procurato al gruppo ben 100 chilogrammi di hashish.
Grossi traffici e non solo. Sui due fratelli Giampaolo il gip sottolinea la «spiccata pericolosità» riferita al «possesso di armi illegalmente detenute»: due pistole a tamburo Smith& Wesson, una bomba a mano M75; una pistola mitragliatrice Tokarev, modello in dotazione all’Armata Rossa; due fucili d'assalto Zastava, riproduzioni del Kalashnikov; una pistola semiautomatica Beretta calibro 9. Per questo capitolo, il gip di Genova ha trasmesso gli atti al Tribunale di Reggio Calabria.
Narcotraffico tra la Calabria e Genova, due chili di cocaina a 62mila euro
Tra i traffici di cui sono accusati i calabresi ce n’è uno che avrebbe portato due chilogrammi di cocaina dalla Locride alla Liguria: i broker genovesi avrebbero ricevuto la droga al prezzo di 62mila euro, di cui 9mila sarebbero stati prelevati da Giovanni Giampaolo «a casa dell’ignara madre di Rocco Spagnolo».
Il ruolo di Spagnolo è uno degli snodi dell’inchiesta, che parte dagli elementi acquisiti da un’altra indagine della Dda di Genova, Sidera. Tra le persone in contatto con gli indagati di quel procedimento c’era proprio il calabrese residente in Liguria. Dalle sue chat gli investigatori hanno ricostruito parte del sistema che legava broker e fornitori. I nickname, dopo gli accertamenti, sono diventati persone in carne e ossa. Alcuni sono rimasti ignoti; altri, come Regalblood, sono stati identificati. Si trattava proprio di Giovanni Giampaolo che, in quelle chat, «discuteva di una seconda importazione di narcotico, occultato sempre in un carico di banane nonché della possibilità di far effettuare il trasporto attraverso i vettori marittimi Maersk e Hapag Lloyd, avvalendosi di complicità al loro interno per il recupero dello stupefacente». È il primo step dell’inchiesta che porterà ai 20 arresti e all’ipotesi di una fitta rete di contatti tra la Locride e Genova.
La rete operante tra Italia e Colombia, invece, è in piedi almeno dal 2015 e porta sempre a terminali calabresi. Al centro di quei traffici c’era la cosca Bellocco. Il business ricostruito dai magistrati è quello che portò al sequestro di quasi 150 chili di cocaina al porto di Genova nell’ottobre 2015. Quel sequestro è diventato un processo con condanne irrevocabili. Il business, però, ha trovato altri sbocchi.