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Tanti, troppi i casi di lupara bianca irrisolti. Per la ‘ndrangheta quella di fare scomparire le persone nel nulla è una strategia di dominio del territorio. Significa non solo uccidere ma dare un segnale forte ed inequivocabile: quello che chi cerca di infrangere le regole è condannato a diventare il nulla, ad essere cancellato, senza dare nemmeno ai propri cari un corpo su cui piangere.
Tra i casi più bistrattati dalla cronaca, quelli più trascurati, c’è quello di un boscaiolo di origini rom. Si tratta di Franco Amato. L’uomo, residente nel campo rom di Scordovillo a Lamezia Terme, ma che da tempo viveva a Davoli, scomparve il 29 settembre 2010.
Uscito di casa nel primo pomeriggio non ne fece più ritorno. La moglie dopo 48 ore dalla sua scomparsa sporge denuncia. I carabinieri ritrovano la sua auto, una punto nera, su una strada che attraversa i boschi di Brognaturo, alle porte di Serra San Bruno. All’interno trovarono il suo portafogli e il telefono cellulare, circostanza che fece pensare da subito che non si trattasse di un allontanamento volontario.
Si sa che Amato era stato arrestato nel 2008 insieme ad altre persone, tutte accusate di furto ed estorsione, dedite al cosiddetto “cavallo di ritorno”. Ma Amato era anche vicino alla cosca Gallace e potrebbe essere allora una delle vittime della cosiddetta “nuova faida dei boschi” che ha sparso il sangue di circa 35 vittime. Un conto ancora aperto.
Tiziana Bagnato