VIDEO | Nel settembre del 1943, all'indomani dell'armistizio, migliaia di militari italiani della divisione Acqui furono fucilati dai tedeschi nell'isola greca. Fra loro anche molti giovani calabresi
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«Una pagina di storia da non dimenticare che per noi è anche una storia profondamente familiare. Quel frangente a Cefalonia, tragicamente segnato dall’ordine spietato di Hitler di uccidere gli italiani che non si fossero sottomessi, è ancora molto poco conosciuta. È invece necessario esercitare la memoria storica, soprattutto per le nuove generazioni».
Così Mimma Quattrone Ziino, docente di lettere in pensione, non aveva neppure quattro mesi quando lo zio paterno Francesco Antonio Quattrone restava vittima, all’età di 26 anni, di un agguato sull’isola greca di Cefalonia, 80 anni fa. Sottotenente del 317° reggimento di fanteria della divisione Acqui di stanza a Cefalonia, fu ucciso qualche giorno prima dell’eccidio in cui morirono migliaia di italiani, alla fine della Seconda guerra mondiale.
Tra loro anche molti soldati calabresi, che si rifiutarono di arrendersi ai tedeschi dopo l’armistizio divenuti nemici. Con loro, fucilato anche il comandante della divisione Antonio Gandin, proprio 80 anni fa il 24 settembre 1943.
La divisione Acqui a Cefalonia
La Divisione Acqui fu presente a Cefalonia, Corfù, Zante, Santa Maura, Itaca con i suoi giovanissimi soldati. Il suo acquartieramento, avvenuto nel 1941 in modo pacifico, era funzionale alle mire colonialistiche di Mussolini. Ad Argostoli, capitale di Cefalonia, era stata istituita la sede del comando italiano. La convivenza pacifica che aveva contraddistinto gli anni della guerra nel cuore dell'Europa, fu stravolta nei giorni dell'armistizio (8 settembre 1943). I soldati, dopo un fulmineo momento di speranza per la fine della guerra, capirono di essere stati abbandonati agli ordini dei tedeschi, da alleati diventati nemici.
Mentre il generale Gandin prendeva tempo per capire come potesse evolvere quel caos, il comando italiano ad Atene cadeva in mano tedesca.
Il buio degli ultimi giorni del settembre 1943
Il clima di ostilità e resistenza deflagrò, tra il 23 e il 28 settembre 1943, in eccidi, fucilazioni e deportazioni di coloro che non si arrendevano ai soldati tedeschi. Il generale Gandin venne fucilato per primo e da solo, dopo il raduno dei soldati nella caserma Mussolini in Argostoli. Quindi la celebre corsa alla Casetta Rossa. Iniziò una strage in quei giorni di fine settembre di 80 anni fa. Migliaia i soldati italiani uccisi. Tra loro anche molti calabresi. Chi non fu fucilato subì il feroce destino di Internato Militare Italiano con la cattura e la deportazione nei campi di internamento tedeschi. Qualcuno fu prigioniero nella Jugoslavia dove covava verso gli italiani "invasori" l'odio degenerato nel dramma delle foibe.
I sopravvissuti tornarono in Italia tra il 1945 e il 1946 L’associazione Nazionale della Acqui ha redatto anche una sezione dei soldati calabresi uccisi a Cefalonia di cui riferisce il sito Calabria in Armi.
I calabresi a Cefalonia
Nella casetta Rossa morì Giuseppe Di Giacomo, ingegnere di Cassano alla Jonio, comandante della 361^ batteria costiera del 188° gruppo artiglieria di corpo d’armata di stanza a Spilia nei pressi di Argostoli. Con lui morì anche Giuseppe Bagnato di Reggio Calabria, comandante interinale del 188° Gruppo e con lui anche il sottotenente Ugo Correale Santacroce, nativo di Siderno, e il giovane sottotenente Natalino Gemelli del 317° Fanteria – plotone mitraglieri - nativo di Filadelfia nel vibonese.
Fucilati nella casetta rossa anche Paolino Principato tenente di Melito Porto Salvo, nel reggino, Antonio Torcia di Petilia Policastro e Giorgio Meo di Crotone entrambi sottotenenti.
Morto in combattimento il maggiore Italo Galli di Nicastro, aiutante di campo del 317° reggimento fanteria, mentre cadde in una rappresaglia, il tenente Ferdinando Pachì nativo di Caulonia della 44^ Sezione Sanità di stanza a Valsamata.
Fucilato nel vallone di Santa Barbara, Vincenzo Condemi sottotenente medico di Stilo insieme a tutti i suoi colleghi dello stato maggiore del 17° fanteria. A Capo Munta cadde il tenente Giuseppe Albanese di Mammola. Cadde al fianco del suo comandante, il generale Luigi Gherzi, il tenente Silvio Dattola di Reggio Calabria, insieme al sottotenente Giovanni Gangemi di Rosarno, entrambi del 17° fanteria.
Tanti giovani, dunque, non fecero ritorno a casa e tra loro anche il reggino, Francesco Antonio Quattrone.
«Francesco Antonio Quattrone, fratello di mio padre, era nato il 22 marzo 1917 a Reggio Calabria, dove aveva vissuto fino alla chiamata alle armi. Il diploma al liceo scientifico, la laurea a Messina in Scienze politiche e la passione per il mandolino, condivisa con il padre e con i suoi fratelli. È stato ucciso sull’isola di Cefalonia in quel drammatico settembre del 1943. Accadde qualche giorno prima dell’eccidio nella Casetta Rossa, quando offertosi volontario per ripristinare dei collegamenti telefonici, rimase vittima di un agguato. Il professore Dino Gentilomo, amico di famiglia che era con lui, ci ha poi raccontato che è morto gridando Viva l’Italia», racconta la nipote Mimma Quattrone.
La testimonianza scritta del professore Dino Gentilomo
«Fu il professore Dino Gentilomo, caro amico di famiglia a raccontare cosa era accaduto allo zio. Una memoria anche per lui dolorosa alla quale aveva dedicato il volume “I Giorni di Cefalonia: 9-23 settembre 1943). A lui spettò anche il compito di avvisare mia nonna, mio padre e l’altro mio zio, della morte di zio Francesco Antonio, una volta ritornato in patria», racconta ancora Mimma Quattrone.
“Si dorme poco e male nei bivacchi di fortuna del 1/317°. L’urgenza più immediata è di ripristinare i collegamenti telefonici con Faraklata, sede del comando logistico, e con Prokopata dove c’è Gandin. Il giovanissimo sottotenente Francesco Quattrone si offre volontario per guidare una pattuglia che vada a riparare i fili. Nel buio alcuni soldati si perdono nei pressi del ponte distrutto, incappano nelle grinfie di un plotone tedesco. Quattrone si precipita in soccorso. La sparatoria è breve, violentissima. Dagli avamposti del battaglione sentono Quattrone urlare Viva l’Italia”.
Così Dino Gentilomo ha ricostruito nel suo volume la morte di Francesco Antonio Quattrone.
“La mia vita si era conclusa lì, ad Argostoli, accanto al sottotenente Alfredo Acquistapace (subalterno della batteria del capitano Amos Pampaloni), caduto il primo giorno di combattimento vicino ai suoi cannoni e ai suoi uomini; accanto al tenente Tognato, fucilato dopo la resa della Divisione, al sottotenente Francesco Quattrone, giovane ufficiale di fanteria, mio concittadino e mio amico, morto in combattimento alla testa dei suoi soldati, al sottotenente Silvio Dattola, anche lui ufficiale di fanteria al 17° rgt, al capitano Giuseppe Bagnato, fucilato nella casetta rossa”, scriveva ancora Dino Gentilomo.
La storia dell’Italia, la nostra storia di famiglia
«Per noi nipoti la figura dello zio è rimasta sempre viva, come se lo avessimo avuto sempre con noi. Mia nonna Mimma Polimeni, dalla quale come prima nipote ho preso il nome e che viveva in casa con noi, seppure addolorata, lo ricordava sempre. Mio padre Diego, suo fratello maggiore e che a lungo fu anche presidente dell’associazione Familiari Dispersi in guerra, tentò a lungo di riportare in Italia, a Reggio, le sue spoglie. Ma non fu purtroppo possibile. Non riuscì a perdonarsi di essere stato richiamato dalla Russia per ricongiungersi con la madre vedova. Al suo ritorno a casa dovette partire suo fratello Francesco, secondogenito, Amato e stimato, era per tutti in famiglia un riferimento.
La mia famiglia attendeva il suo ritorno a casa. Lui aveva scritto a mio padre appena appreso della mia nascita, nel giugno del 1943. Ero la prima nipote e attendeva di conoscermi. Invece quel ritorno non ebbe mail luogo, straziando mia nonna e i miei zii, suoi fratelli, Diego e Ferdinando. Da quella tragedia sono, infatti, passati esattamente 80 anni, come quelli che ho compiuto a giugno.
I fatti di Cefalonia, nel frangente dell’armistizio della Seconda guerra mondiale, dunque non rappresentano solo la Storia del nostro paese ma costituiscono uno snodo doloroso e indimenticato della nostra vita familiare», racconta Mimma Quattrone.
Il mistero della medaglia d’argento al valor militare
Ma c’è anche un altro appello accorato e riguarda la medaglia d’argento al valore militare alla memoria di cui è stato insignito lo zio. Nel 1996, in occasione di una cerimonia solenne, essa era stata appuntata al petto del sindaco, come da procedura quando non fossero reperiti parenti.
«Apprendemmo del riconoscimento dello zio, per altro decretato già nel 1990, soltanto dopo la cerimonia di conferimento che ebbe luogo a Reggio nel novembre del 1996. Ci chiamò un carissimo cugino, l’avvocato Polimeni, dicendoci che era stata conferita la medaglia d’argento al valore militare alla memoria dello zio e che era stata consegnata al sindaco, allora il compianto Italo Falcomatà, perché non vi erano parenti in vita», racconta ancora stupita Mimma Quattrone.
I congiunti mai cercati
Invece invita c’erano e ci sono ancora i nipoti e tra loro Mimma Quattrone, la più grande nata proprio nel 1943, che in questo 80° anniversario della morte dello zio e che è stato anche l’ottantesimo anno della sua vita, chiede di poter almeno vedere la medaglia.
«Siamo tre nipoti, con mio fratello che per volere di mio padre porta anche il nome dello zio. Noi sono siamo stati mai cercati pur essendo stati sempre a Reggio. Subito dopo quella cerimonia, fu segnalata la nostra esistenza anche grazie a un’intervista. Quindi fui contattata dal Comune con una promessa di incontro che non ebbe mai luogo. Noi vorremmo sapere, in questo ottantesimo anniversario, dove questa medaglia sia. Vorremmo almeno vederla. Credo sia un nostro diritto, considerando che lo zio Francesco, eroe e Cefalonia, fu soprattutto per noi tutti una figura affettivamente insostituibile», prosegue la nipote Mimma Quattrone.
«Una strada per lo zio o per i martiri di Cefalonia»
«Infine, se potessimo dare anche un suggerimento, vorremmo che una strada fosse intitolata allo zio che a Reggio era nato e aveva vissuto, o ai martiri di Cefalonia. Per non dimenticare e alimentare una memoria storica collettiva. In questa direzione nel 2021, il nostro caro cugino, Francesco Polimeni, ha presentato un’istanza alla commissione Toponomastica del Comune. Ma anche a quell’istanza è seguito solo silenzio», conclude Mimma Quattrone.